«Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui» (Mc 16, 6). È questo il primo annuncio della resurrezione del Signore che viene rivolto alle donne che si erano recate al sepolcro per ungere il corpo del Maestro. Cercavano un morto e si sentono dire che è vivo. Possiamo immaginare lo stupore e lo sconcerto che queste parole hanno provocato in loro, ma anche le domande e gli interrogativi: che cosa è successo? In fondo è la stessa domanda che anche noi ci poniamo.
Possiamo trovare una risposta riallacciandoci a quanto abbiamo celebrato nelle prime due tappe del triduo, il giovedì e il venerdì santo. La risurrezione infatti va vista a partire dalla morte di Gesù e dal significato di questa morte che Gesù stesso aveva spiegato nell’ultima cena.
La risurrezione di Gesù non è stata la rianimazione di un cadavere. È una realtà diversa rispetto ai miracoli compiuti da Gesù (pensiamo alla risurrezione di Lazzaro): le persone che Gesù richiamò in vita sono soggette ancora alla morte, il Risorto invece non muore più, è entrato in una dimensione totalmente nuova: è come se fosse avvenuta una mutazione, che ha iniziato uno stadio nuovo per l’umanità.
Per capire la risurrezione dobbiamo partire dall’unione di Gesù con il Padre. Come spiega bene in una sua omelia per la veglia pasquale papa Bendetto XVI: «Egli era una cosa sola con il Dio vivente, unito a Lui talmente da formare con Lui un’unica persona. Egli si trovava, per così dire, in un abbraccio con Colui che è la vita stessa, un abbraccio non solo emotivo, ma che comprendeva e penetrava il suo essere. La sua propria vita non era sua propria soltanto, era una comunione esistenziale con Dio e un essere inserito in Dio, e per questo non poteva essergli tolta realmente. Per amore, Egli poté lasciarsi uccidere, ma proprio così ruppe la definitività della morte, perché in Lui era presente la definitività della vita. Egli era una cosa sola con la vita indistruttibile, in modo che questa attraverso la morte sbocciò nuovamente» (Benedetto XVI, Omelia per la veglia pasquale 15 aprile 2006). Possiamo dire con termini più semplici che la sua morte fu un atto di amore: nell’ultima cena Gesù trasformò la morte a cui stava andando incontro in un dono di amore. Questo amore «sino alla fine» è più forte della morte: «La risurrezione fu come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che sciolse l’intreccio fino ad allora indissolubile del “muori e divieni”. Essa inaugurò una nuova dimensione dell’essere, della vita, nella quale, in modo trasformato, è stata integrata anche la materia e attraverso la quale emerge un mondo nuovo» (Benedetto XVI, ibidem).
Possiamo comprendere allora perché la risurrezione non è solo un evento del passato, ma una realtà presente, che viene offerta a quanti credono in Gesù Cristo: attraverso il battesimo anche noi veniamo immersi in questa nuova dimensione della vita. La risurrezione ci raggiunge e ci dà la possibilità di vivere uniti a Gesù: seguendo Lui potremo anche noi vincere la morte con l’amore: la vita cristiana non è altro che un grande spazio aperto in cui sperimentare la forza della risurrezione.
In un momento storico in cui la vita umana è minacciata dalla pandemia, abbiamo bisogno di sperimentare questa forza: celebrare la risurrezione di Gesù sia motivo per alimentare la speranza e la fiducia di cui abbiamo bisogno. L’augurio che ci scambiamo abbia proprio questo significato: con Cristo anche tu puoi risorgere a una vita nuova!