Sono ancora di moda i santi nella nostra società? La riposta sembra essere negativa: a differenza del passato in cui i santi venivano ricercati già da vivi e poi ancora di più da morti, oggi sono altre le persone che sono al centro dell’attenzione: campioni sportivi, cantanti, attori richiamano le folle. Ciò però non significa che la santità non abbia più importanza. Che cosa significa il termine santo? Santo indica la presenza nelle persone di una forza divina e benefica che permette di distinguersi, di distanziarsi da ciò che è imperfetto, debole, effimero. Fra gli uomini apparsi in questo mondo, solo Cristo ha posseduto in pienezza questa forza di bene e solo lui può essere proclamato santo, come cantiamo nel Gloria: “Tu solo sei santo”. Anche noi però possiamo elevarci verso di lui e divenire partecipi della sua santità se diventiamo suoi discepoli. Non è un caso che i primi cristiani tra di loro si chiamassero con l’appellativo di “santi”. Paolo indirizzava le sue lettere “a tutti i santi che vivono nella città di Filippi…” (Fil 1,1); “ai santi che sono in Efeso…” (Ef 1,1); “ai santi e fedeli fratelli in Cristo che abitano in Colossi…” (Col 1,2); “a tutti i santi dell’intera Acaia” (2 Cor 1,1); “a tutti voi prediletti di Dio che siete in Roma e che siete chiamati santi…” (Rm 1,7). Non scriveva ai santi del cielo, ma a persone concrete che abitavano a Filippi, Efeso, Corinto, Colossi, Roma. Erano loro i santi. Possiamo dire che santo è ogni discepolo: sia che si trovi già in cielo con Cristo o che viva ancora pellegrino su questa terra.
La moltitudine immensa che ci viene presentata nella prima lettura tratta dal libro dell’Apocalisse ci vuole indicare come vi sia una chiamata universale alla santità: tutti siamo chiamati alla santità, non solo pochi “eroi”. La santità infatti non è prima di tutto frutto di uno sforzo umano, ma è un dono che Dio fa a tutti coloro che credono in lui: come ci insegna San Giovanni nella seconda lettura siamo santi perché nel battesimo siamo diventati figli di Dio. Nella mentalità semitica, i figli non solo davano continuità alla vita biologica del padre, ma si riteneva che lo rendessero realmente presente. Per questo ci si attendeva che in loro fosse riconoscibile il genitore: per le sembianze esteriori e i tratti del viso, certo, ma soprattutto per l’integrità morale, per la fedeltà a Dio, per gli aspetti più significativi del suo carattere. Il cristiano è, nel mondo, la presenza del divino e, come ogni figlio, riproduce le sembianze del Padre che sta nei cieli. Diventare santi è un dono ma allo stesso tempo un compito.
Il mondo ha bisogno di santi, perché ha bisogno di Dio e solo la santità lo può rendere presente. Il primo compito dei cristiani è di farsi santi proprio perché gli uomini possano incontrare Dio. Si diventa santi non fuggendo dal mondo, ma amando il mondo come ha fatto Gesù, che per la salvezza degli uomini ha dato se stesso. Le beatitudini, che sono state proclamate poco fa, sono il “codice della santità”: ci indicano la strada per farci santi ed è una strada che percorre la vita quotidiana, ordinaria di ogni persona umana: si diventa santi accettando la povertà, affrontando le incomprensioni e i conflitti, portando con pazienza la croce delle proprie malattie e delle proprie sofferenze, donando il perdono a chi ci offende.
La festa che oggi celebriamo ci aiuti a riscoprire la nostra chiamata alla santità: l’intercessione dei santi del cielo ci ottenga la grazia di uscire dal torpore e dell’indifferenza per trovare il coraggio di vivere il Vangelo.