La scelta di celebrare la «giornata di santificazione sacerdotale» nella Solennità del Sacro Cuore mette in evidenza il legame profondo tra il Cuore di Gesù e la santità, a cui devono tendere i ministri ordinati per primi e insieme con loro tutti i fedeli. Il centro e la sorgente della nostra vita di cristiani infatti è nel rapporto intimo e personale con Gesù, un legame che non coinvolge solo il nostro intelletto e la nostra volontà ma anche gli affetti: intelletto, volontà e affetti nel linguaggio della Bibbia si incontrano nel cuore. La vita cristiana allora è una «questione di cuore». Dio nel suo Figlio fatto uomo, non ci offre solo una dottrina e neppure solo una morale, ma ci offre il suo amore. Per questo Paolo nella lettera agli Efesini augura ai cristiani di quella comunità di essere in grado «di comprendere quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio». La grandezza dell’amore di Dio si manifesta proprio nei tratti pieni di umanità (potremmo dire anche di passione) con cui si è manifestata la sua cura per l’umanità. Ne abbiamo un saggio nel brano di Osea, proposto dalla prima lettura, in cui Dio viene descritto come un papà che insegna a camminare al suo bambino, che lo solleva alla guancia e che si china per dargli da mangiare. Queste immagini così umane ci permettono di entrare nel Cuore di Cristo e da questa porta contemplare la grandezza dell’amore di Dio per noi.
Come corrispondere a questo amore? Ognuno deve trovare la sua risposta a questa domanda nel colloquio intimo e personale con il Signore. Dovremmo anche noi ripetere – non materialmente ma spiritualmente – il gesto del discepolo amato che nell’ultima cena, reclinato sul petto di Gesù, sentiva i battiti del suo Cuore e così entrava nella comprensione profonda del percorso di amore che il Maestro chiedeva pure a lui. Accanto a questo «esercizio spirituale» da compiere personalmente, possiamo però tentare di individuare anche alcune indicazioni comuni della santità che ci viene chiesta in questo tempo. Papa Francesco in «Gaudete et exultate» propone alcune caratteristiche che deve avere la santità nel nostro tempo: anch’io tento di delinearne alcune con riferimento a questo momento di uscita dalla pandemia e alla situazione della nostra chiesa diocesana.
Una prima indicazione: la santità che ci è chiesta oggi consiste nell’accogliere la povertà in cui ci ritroviamo a vivere come la condizione necessaria per lasciarci raggiungere dal Vangelo e diventare capaci di annunziarlo. La povertà resa evidente dalla pandemia (povertà di fedeli, di ministri, di risorse economiche, di influsso sulla società) ci sembra un ostacolo per la vita ecclesiale: se facciamo nostra la logica del Regno di Dio non è così. Il Vangelo è annunziato ai poveri: solo chi sa farsi povero infatti è capace di accoglierlo come la buona notizia che cambia la vita. Dobbiamo chiederci se l’inefficacia della nostra pastorale non dipenda anche dalla nostra resistenza a riconoscere la nostra povertà come una condizione per lasciarci amare dal Signore e diventare suoi testimoni credibili.
Vedo una seconda indicazione per un cammino di santità oggi nello sforzo di vivere questa precisa situazione come un nuovo inizio. I cambiamenti profondi del mondo in cui viviamo, che mettono in discussione anche tante nostre consuetudini e prassi pastorali, possono creare in noi la convinzione che siamo alla fine e possono indurci a vivere questo tempo in modo passivo e rassegnato. La storia della Chiesa, a partire dalle origini, ci mostra come le grandi prove sono sempre state l’inizio e l’occasione per una nuova stagione di annuncio del Vangelo. Dobbiamo crederci e impegnarci per questo: non è affatto facile, solo la fede e la comunione profonda con il Signore possono metterci in questa prospettiva.
Individuo una terza indicazione per vivere la santità oggi nella decisione di camminare insieme rifuggendo il protagonismo e il disfattismo. Non è qualcosa che viene spontaneo, è frutto di esercizio e di ascesi, altrettanto impegnativo dello sforzo di controllare le nostre passioni. La meditazione che abbiamo ascoltato ci ha fornito spunti importanti tratti dall’esperienza della comunità delle origini. Anche noi dobbiamo esercitarci nel passare dall’ «io» al «noi» ecclesiale.
Sono indicazioni che ci riguardano tutti: preti, laici, religiosi, religiose siamo tutti chiamati alla santità, una santità «incarnata» che nasce dalla vita e dal confronto con questo tempo in cui ci è dato di vivere. In particolare però a noi ministri ordinati spetta il compito di essere modelli e guide del nostro popolo in questo cammino di santificazione: torniamo spesso allora a mettere attraverso la preghiera e la contemplazione il nostro capo sul petto di Gesù. Ascoltando il battito del suo Cuore riusciremo anche noi a sciogliere le nostre resistenze e le nostre chiusure, ritrovando la forza di amare e servire i fratelli nel ministero che ci è affidato.