La festa dei Santi Pietro e Paolo, Patroni di questa Chiesa Cattedrale, ci porta a considerare la natura della Chiesa e il suo fondamento apostolico.
La Chiesa non è una comunità umana come le altre: nasce infatti per un’iniziativa divina e la sua vita non dipende dalla volontà degli uomini. Per questo Gesù prima della sua Pasqua ha posto il fondamento della Chiesa chiamando i dodici apostoli e affidando a Pietro il compito di essere il loro capo. Anche Paolo, persecutore dei cristiani, dopo la Pentecoste fu chiamato per essere associato alla missione apostolica e annunziare il Vangelo ai pagani.
È importante che ci fermiamo a riflettere sulla natura della Chiesa e sul suo fondamento apostolico perché se consideriamo la Chiesa alla stregua delle altre comunità umane rischiamo di non comprendere nulla della sua vita e della sua missione. Questo capita ad esempio quando applichiamo alla Chiesa le categorie del potere e confondiamo l’autorità dei pastori, che è un’autorità spirituale, con il potere politico ed economico. Analogamente travisiamo la natura della Chiesa quando rivendichiamo il diritto di indirizzare la su azione secondo i nostri gusti personali o di gruppo, trascurando di interrogarci su che cosa lo Spirito Santo ci chiede.
La Chiesa non si fonda su un potere umano, ma vive di un rapporto d’amore che unisce il Signore Gesù con i suoi discepoli. In questo senso è illuminante il dialogo tra Gesù e Simon Pietro che ci è stato proposto nel Vangelo. Ci colpisce questa triplice domanda di Gesù a Pietro: «Mi ami tu?». E’ un domanda che è in relazione con un compito che Gesù affida a Pietro: «Pasci le mie pecorelle». Non è un rapporto casuale: il compito di pascere il popolo di Dio, la Chiesa, è infatti legato al rapporto di amore che Pietro è chiamato a vivere con il Signore, anzi, come spiega Sant’Agostino nel suo commento al cap. 21 del Vangelo di Giovanni, il ministero pastorale è «amoris officium», è cioè un compito di amore.
I Santi Pietro e Paolo vissero la loro missione non come un’impresa umana o una ricerca di onori mondani, ma come un atto d’amore per il Signore e i fratelli, che ebbe il sigillo del martirio che subirono entrambi a Roma verso il 69 d.C. Essi si sono lasciati condurre dallo Spirito su vie che non avevano scelto con l’unico obiettivo di far conoscere Gesù e il suo Vangelo.
Chiediamoci se anche la nostra appartenenza alla Chiesa si nutre di questo amore per il Signore Gesù che ha spinto gli Apostoli o se invece hanno il sopravvento motivazioni umane, pur buone, come la tradizione familiare, le consuetudini, la ricerca di qualche vantaggio sociale, ecc. Solo rispondendo a questa domanda «Mi ami tu?» possiamo partecipare in verità e autenticità alla vita della Chiesa. Diversamente resteremo sempre ai margini della vita ecclesiale, travisando la sua natura e sfigurando la sua testimonianza.
E’ alla luce della domanda di Gesù a Simon Pietro «Mi ami tu?» che questa sera ricordiamo nella nostra preghiera il Vescovo Lucio Soravito De Franceschi nel 1° anniversario della sua morte, che ricorre il prossimo 6 luglio. Anche la sua vita e il suo ministero di prete e di vescovo sono stati uno sforzo di rispondere a quella domanda «Mi ami tu?». Seguendo il suo carattere operoso, il Vescovo Lucio ha manifestato il suo amore per il Signore con un’attività instancabile e con un tratto di umanità e cordialità, che gli hanno permesso di farsi sentire vicino a tante persone e comunità. L’esempio che ci ha lasciato sia di sprone a tutti noi a vivere con generosità e operosità, lasciandoci condurre dal Signore per le sue vie che spesso non sono quelle che noi abbiamo in mente. Il Signore gli doni la pace e lo ricompensi del bene che ha seminato in mezzo a noi.