PROTEZIONE E CURA DEI MINORI DA OGNI FORMA DI ABUSO: L’IMPEGNO DELLA CHIESA

«Tutta la comunità è coinvolta nel rispondere alla piaga degli abusi non perché tutta la comunità sia colpevole, ma perché di tutta la comunità è il prendersi cura dei più piccoli».
20-04-2024

Il Convegno odierno nasce dal desiderio di condividere con la società civile, in particolare con chi opera con i minori in ambienti formativi, associativi e sportivi, l’esperienza maturata in ambito ecclesiale a partire dal 2019. In quell’anno infatti l’Assemblea Generale dei Vescovi italiani approvava le «Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili». Questo documento, che aveva avuto una sua prima redazione nel 2014, dava degli orientamenti molto precisi per fare in modo che il tema della tutela dei minori diventasse una dimensione ordinaria della vita delle comunità cristiane, sia in relazione all’emersione di eventuali abusi (accoglienza delle segnalazioni, ascolto e accompagnamento delle vittime, sanzione dei colpevoli in sede canonica e civile) sia in relazione alla prevenzione. A tal fine le Linee guida prevedevano la costituzione di una rete capillare di referenti in ogni singola diocesi, attorno ai quali costituire un gruppo di lavoro (servizio diocesano tutela minori e persone vulnerabili). A livello nazionale e regionale poi veniva costituito un analogo organismo, con il compito di coordinare e sostenere i servizi diocesani. In ogni regione ecclesiastica poi un Vescovo veniva delegato a seguire questo settore. Oltre al referente diocesano e al relativo servizio tutela minori, veniva chiesto poi di istituire in ogni diocesi un centro di ascolto, per raccogliere le segnalazioni di abusi e per accompagnare le vittime.

In questa sede mi sembra utile evidenziare come la Chiesa italiana abbia voluto attraverso l’organizzazione dei servizi diocesani e dei centri di ascolto arrivare a creare una sensibilità diffusa. Ritengo significativo quanto vien detto nei «principi» che fungono da premessa delle Linee guida: «Tutta la comunità è coinvolta nel rispondere alla piaga degli abusi non perché tutta la comunità sia colpevole, ma perché di tutta la comunità è il prendersi cura dei più piccoli. Ogni qualvolta uno di loro viene ferito, tutta la comunità ne soffre perché non è riuscita a fermare l’aggressore o a mettere in pratica tutto ciò che si poteva fare per evitare l’abuso. Non si tratta però solo di fare il possibile per prevenire gli abusi: è richiesto un rinnovamento comunitario, che sappia mettere al centro la cura e la protezione dei più piccoli e vulnerabili come valori supremi da tutelare. Solo questa conversione potrà permettere a tutta la comunità di vincere ogni silenzio, indifferenza, pregiudizio o inattività per diventare partecipazione, cura, solidarietà e impegno. (…) Responsabilizzare la comunità comporta farsi carico della protezione dei minori e delle persone vulnerabili come missione comunitaria che non può essere semplicemente delegata ad alcune strutture o persone. Ciascuno può e deve fare la sua parte, cominciando da un rinnovamento interiore e passando attraverso un rinnovamento comunitario. In questo percorso, nel quale l’intera comunità si fa carico di un cambiamento culturale che metta al centro i più piccoli e vulnerabili, si inserisce il discernimento circa gli operatori pastorali e quanti, in modi diversi, hanno contatto con i minori nelle comunità ecclesiali: animatori, educatori, catechisti, allenatori, insegnanti e tutti coloro che sono impegnati in attività di culto, carità, animazione e ricreazione. Sono persone che con grande generosità si prestano ad un prezioso servizio, per il quale vanno formate e rese corresponsabili dello stile e delle scelte della Chiesa per la protezione e cura dei più piccoli e vulnerabili».

Emerge chiaramente da questo testo la preoccupazione di fare della tutela dei minori un compito di tutta la comunità per il quale è necessario innanzitutto una conversione interiore, che dice una assunzione di responsabilità condivisa a tutti i livelli. Per questo occorre aprire gli occhi, aprire le orecchie, aprire il cuore: la tutela dei minori non è un tema da specialisti, è un impegno di tutti.

Una prima fondamentale attenzione in cui si esprime questo impegno è quello di mettere a tema la problematica degli abusi sui minori. E’ necessario parlare della realtà degli abusi, chiamarli per nome per quello che sono realmente: solo così sarà possibile alle vittime riconoscerli, sapersi difendere, chiedere aiuto. Non è scontato parlare degli abusi in modo corretto e competente. Sono diffusi anche nel nostro ambiente atteggiamenti che vi si oppongono: il negazionismo, la curiosità morbosa, l’evitamento.

Parlare degli abusi in modo corretto e competente è già combatterli e prevenirli. L’abuso infatti si sviluppa nel silenzio: si parla di un terribile «gioco del silenzio» che legale vittime ai loro abusatori, un gioco di morte che va spezzato innanzitutto con una formazione che sensibilizza, informa, educa evitando l’isolamento delle vittime. Parlare di questi temi già crea una rete di salvataggio, un contesto vigile, critico, collaborativo che rende possibile la prevenzione e la cura. Prendere atto con realismo della possibilità che anche nelle nostre realtà si compiano abusi, è fondamentale per impedire che si verifichino. Per questo non possiamo guardare all’abuso solo come «un incidente» e all’abusatore come «una mela marcia». Se la responsabilità (morale, giuridica, ecc.) è personale, dobbiamo tener presente che c’è sempre un contesto che ha favorito l’abuso, se non altro perché non ha individuato per tempo il possibile abusatore o perché ha permesso situazioni favorevoli tralasciando quei controlli e quelle verifiche che la prudenza e l’esperienza suggeriscono.

Ogni persona che entra in contatto con ragazzi e giovani quindi dovrebbe avere una formazione specifica, sia pure minimale, nell’ambito della loro tutela: questo significa avere imparato a riconoscere i segni di abuso, sapere come intervenire qualora vi sia il sospetto che un minore sia stato abusato. Non bastano tuttavia i protocolli e le linee guida, bisogna andare più in profondità: formare le persone a vivere relazioni sane, improntate al rispetto della dignità di tutti. E’ necessaria una formazione che aiuti in particolare a maturare una affettività matura, nella consapevolezza che prendendosi cura della propria affettività si riesce poi a proteggere anche l’affettività dei minori che ci sono affidati.

L’educazione nelle sue varie espressioni coinvolge sempre la dimensione affettiva, intesa come dono, libertà, rispetto. L’abuso si attua quando non si rispetta il confine oltre il quale l’intimità e la dignità dell’altro viene violata: per questo ogni comportamento abusante è violazione della giustizia, perché toglie all’altro quel rispetto che gli è dovuto per il fatto stesso di essere persona.

Per tutelare i nostri bambini, ragazzi, adolescenti non possiamo allora muovere solo da ansie e sospetti: la reazione all’abuso è necessaria, ma prima della dimensione reattiva è necessaria e auspicabile quella pro-attiva: non solo reazione a quanto dovesse emergere, ma interventi e proposte positive che portino ad avere uno sguardo vigile e aperto, un discernimento comunitario che superi il protagonismo di singoli individui e dei codici di condotta chiari e condivisi.

Mi auguro che il lavoro di questa mattinata porti a maturare anche nel nostro ambiente una maggiore consapevolezza della necessità di non limitarci a gestire l’imprevisto, ma di prevenirlo puntando su interventi di qualità e soprattutto su uno stile di corresponsabilità e condivisione a tutti i livelli.

Concludendo ringrazio i due Dipartimenti dell’Università di Padova e di Ferrara che hanno una loro sede a Rovigo che ci offriranno il contributo di studiosi competenti ed appassionati, assieme al CUR che ci ospita in questo palazzo e ci ha supportato dal punto di vista organizzativo. Ringrazio pure i rappresentanti di alcune realtà educative e associative che nella seconda parte ci mostreranno in concreto come sviluppare un articolato programma di tutela.