Carissimi,
la lettera che ho inviato alle vostre comunità domenica 18 settembre ha già dato alcune spiegazioni sui motivi della nuova impostazione della cura pastorale per la zona di Adria e Papozze. Aggiungo qualche altra considerazione che può essere utile a comprendere e ad accogliere il modo nuovo in cui verranno seguite le vostre parrocchie.
Prima però vorrei aggiungere alcune informazioni che non sono presenti nel decreto che è stato letto e che completano il quadro del servizio pastorale che oggi inauguriamo.
La prima informazione riguarda l’assistenza religiosa dell’Ospedale finora affidata ai Frati Francescani dell’Immacolata: viene assunta da don Rossano Marangoni, parroco di Corbola, che potrà contare sull’aiuto per le sostituzioni di don Fabio Padovan, parroco di Rivà, Piano e Grillara. A don Rossano e a don Fabio va la mia riconoscenza per aver accettato di svolgere questo prezioso e delicato ministero.
A completare la “squadra” dei parroci e collaboratori, ci sono anche due giovani seminaristi Nicolò Grandesso e Simone Finotti. Nicolò verrà ordinato diacono il prossimo 29 ottobre. Essendo ancora impegnati nella formazione, la loro presenza sarà limitata al fine settimana e nei limiti della loro presenza avvieranno una pastorale per i giovani della città.
Approfitto di questa occasione per rinnovare il mio ringraziamento ai Francescani dell’Immacolata che lasciano la Parrocchia di S. Maria Assunta dopo nove anni. Altresì ringrazio don Paolo Marcello che lascia Adria dopo quindici anni per trasferirsi nella nuova unità pastorale di San Bellino e Castelguglielmo.
Un saluto e un augurio di pronta guarigione a don Mario Lucchiari, che per motivi di salute non può essere fisicamente presente con noi, anche se partecipa spiritualmente nella preghiera.
Vengo ora a dare qualche spiegazione circa la nuova impostazione che oggi vi presentiamo. Innanzitutto rispondo a una domanda che molti di voi si saranno fatti: «Che bisogno c’era di questa novità? Che senso ha un gruppo si preti che sono corresponsabili di tutte le parrocchie? Non era meglio che ognuno ne seguisse una o due?
Una prima risposta la do a partire dal fatto che senza creatività e immaginazione non c’è vita e rinnovamento. Non ci si può fermare al si è sempre fatto così e a ciò che è ovvio. Permettetemi di citare un passo di un libro che ho letto in questi giorni e che mi sembra particolarmente pertinente (fra l’altro è il libro che il Papa ha regalato ai sacerdoti che hanno partecipato alla Messa crismale il giovedì santo di quest’anno): «Se vogliamo un nuovo cielo, una nuova terra e una nuova Chiesa, i nostri discernimenti devono andare oltre l’ovvio (…). La missione richiede il contributo dell’immaginazione. La nostra Madre Chiesa, anche se avanti con gli anni, ha in sé una vita potente. Abbiamo ereditato strutture materiali e organizzative del passato. La gestione delle strutture non deve soffocare il sogno e la freschezza di una Chiesa giovane e nuova, creativa e fantasiosa in un mondo secolarizzato». (F.X. Bustillo, Testimoni e non funzionari, Città del Vaticano 2022, p. 225)
La creatività e l’immaginazione dello Spirito hanno ispirato il desiderio di preti e collaboratori laici di mettersi insieme per un nuovo progetto pastorale, di fare rete, di riscoprire la bellezza di un ministero e di una vita parrocchiale non più vissuti nell’isolamento, nell’autoreferenzialità e anche nella tiepidezza e nella mediocrità.
Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium” esorta tutte le strutture ecclesiali ad una «conversione missionaria»: in particolare chiede alla parrocchia di riformarsi e di adattarsi per orientarsi completamente alla missione (EG n. 28). Questa «conversione missionaria» chiede in particolare di ripensare il rapporto con il territorio, tenendo conto del cambiamento avvenuto nel modo di vivere, di lavorare, di divertirsi. In un tempo in cui ci muoviamo con grande facilità e la nostra vita si svolge in ambienti molto diversi e lontani tra loro, anche la Chiesa non può limitarsi a guardare a un singolo quartiere o alla singola frazione: è necessario che una realtà come Adria sia presa in carico come un insieme unico. Ciò non significa sopprimere le singole parrocchie: si tratta di metterle in rete, di creare sinergie, di unire le forze, di rendere possibili esperienze significative di vita cristiana per le diverse fasce di età e per le diverse categorie di persone. Occorre soprattutto creare spazi di ascolto dove poter accogliere le persone e aiutarle a sentire che il Vangelo è vicino alla loro vita di ogni giorno. La singola parrocchia, così com’è oggi, non basta. Occorre creare una «famiglia di parrocchie» (non è una espressione mia, ma mi è stata suggerita dai preti e laici che in questo periodo di sono trovati insieme per elaborare questo progetto).
Come potete notare, non uso il termine “unità pastorale”, perché non rende il significato di quanto ci proponiamo di attuare. L’unità pastorale è un progetto nato circa trent’anni fa che intendeva mettere insieme più parrocchie creando delle sinergie tra loro, ma in fondo conservandone l’impostazione di fondo. Quando papa Francesco parla di una «conversione missionaria» ci chiede una trasformazione profonda della vita della parrocchia. Troveremo un’altra denominazione: «fraternità pastorale», «comunità sinodale»?
Una seconda considerazione la riservo alla forma che assume il servizio dei preti nella modalità dei parroci «in solido»: due o più sacerdoti che condividono in pienezza la responsabilità pastorale. I parroci della città, a cui si aggiungono don Mario Lucchiari e don Nicola Brancalion, hanno avvertito forte l’esigenza di non essere soli, di poter mettere insieme le loro capacità, di far rendere al meglio le loro fatiche. Non si sono accontentati di un generico proposito di collaborare, ma si sono resi disponibili per un cambiamento anche formale del loro mandato, per dare un segno visibile di questa apertura delle parrocchie a formare una famiglia. Parroci in solido vuol dire che tutti saranno parroci insieme di tutte le otto parrocchie. Il «moderatore» non è un superiore ma è alla pari degli altri e ha il compito di moderare (coordinare) il gruppo e di fare in modo che quello che viene deciso insieme sia attuato. Ci saranno poi per ovvi motivi dei referenti per le diverse comunità e per i settori pastorali, ma dentro un progetto e una programmazione comune. Questa è una forma nuova rispetto a quella che conosciamo, una forma che cerca di attuare quanto ci insegna il Concilio Vaticano II: nessuno è prete da solo, ma insieme con altri preti sotto la guida del Vescovo.
Un ultimo punto riguarda la partecipazione dei laici e delle religiose (ci sono due comunità Serve di Maria e Carmelitane di S. Teresa). E’ bello che questo progetto sia nato non solo dai preti, ma anche da un gruppo di collaboratori laici (“tavolo sinodale”). Adesso occorre che altri siano coinvolti e diventino partecipi di questo «sogno» di una Chiesa nuova, capace di dire il Vangelo alle tante persone che non vengono più in chiesa, che sono indifferenti e lontane: questa è la conversione missionaria chiesta da Papa Francesco.
Concludo con l’augurio che in questa città di Adria, dove la nostra Chiesa diocesana è nata e dove ha sede la Cattedra del Vescovo, parta un messaggio di rinnovamento ecclesiale capace di contagiare tutta la Diocesi.
La Vergine Maria e San Bellino nostro Patrono ci assistano e ci sostengano.