Anche quest’anno le ordinazioni hanno luogo nella vigilia della Solennità della SS. Trinità: è una coincidenza che ci sollecita a guardare nella luce della Trinità il ministero ordinato, a cui vengono consacrati Simone come diacono, Mattia e Nicolò come presbiteri.
Ogni cristiano in forza del battesimo vive nella comunione di Dio, Uno e Trino: i ministri ordinati, però, in forza della consacrazione ricevuta tramite il sacramento dell’Ordine, sono inseriti in una relazione particolare e specifica con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Diaconi e presbiteri quindi si trovano collocati dentro la dinamica della salvezza con una particolare responsabilità. Ad essi è chiesto con modalità diverse (per il diacono nella forma del servo, per il presbitero in quella del sacerdote e capo) di rendere presente, in obbedienza al Padre e con la grazia dello Spirito, il Signore Gesù in mezzo al popolo di Dio, perché tutti gli uomini possano essere raggiunti dalla buona notizia che il Regno di Dio è vicino a loro.
Evangelizzare è il cuore della missione che vi viene affidata, cari ordinandi. Come scrive San Paolo VI nell’Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi «Ciò che costituisce la singolarità del nostro servizio sacerdotale, ciò che dà un’unità profonda alle mille occupazioni che ci sollecitano durante tutto il corso della nostra vita, ciò che conferisce alle nostre attività una nota specifica, è questa finalità presente in ogni nostra azione: “Annunziare il Vangelo di Dio”». (n. 69).
Mi sembra importante sottolineare la centralità dell’evangelizzazione nel ministero che vi viene affidato, perché il tempo che stiamo vivendo ci chiede proprio di passare da una pastorale di conservazione della fede, ad una di annuncio. Da molti secoli ormai nelle nostre terre di antica tradizione cristiana la trasmissione della fede era legata alla vita sociale: si nasceva dentro una società «cristiana» (nel senso che anche le forme della vita sociale era segnate da riti e prassi che facevano riferimento alla religione cristiana) e diventare cristiani coincideva con il diventare adulti. In una situazione di «cristianità» l’annuncio del Vangelo era in qualche modo presupposto se non dato per scontato: l’adesione alla fede infatti era vista come un dato sociale, legato alla cultura dell’ambiente in cui si viveva e con cui ci si identificava. Quello che era invece necessario era coltivare la vita di fede, per cui il ministero veniva identificato con la «cura pastorale» e la preoccupazione era la catechesi, intesa come approfondimento delle verità della fede. Oggi non è più così: una modalità di trasmissione per così dire «automatica» della fede si è interrotta, si è interrotta non per cola nostra, ma perché il mondo è cambiato. Siamo in una situazione che sempre più si avvicina a quella dei primi secoli dopo Cristo, o quella dei paesi che definiamo ancora di «missione», una situazione in cui la comunità cristiana ha dovuto confrontarsi con un mondo pagano o legate ad altre tradizioni religiose (pensiamo all’Asia), un mondo di per sé non «cattivo» o maldisposto, semplicemente un mondo in cui il cristianesimo non informa la cultura e la vita sociale.
Cari Simone. Mattia e Nicolò voi siete mandati non solo a curare la fede di chi è già in cammino con Gesù, ma soprattutto a voi è chiesto di annunciare il Vangelo a uomini e donne che ancora non lo hanno accolto, anche se magari conservano alcuni riferimenti esteriori alla religione cristiana. Il vostro compito è quello di far risuonare nei loro cuori la Parola di Gesù: non quindi solo insegnare una dottrina, ma trasmettere una Parola che riscalda il cuore, che attira e commuove. Per fare questo avete bisogno di essere voi stessi affascinati dal Vangelo e di dare alla vostra vita una forma evangelica, diventando voi per primi un vangelo vivente. Dovrete poi condividere con altri fratelli nella fede la passione per il Vangelo: Gesù stesso non era solo nell’annunciare il Regno di Dio, fin dall’inizio ha chiamato altri, i discepoli e le donne, a seguirlo e ad essere partecipi della sua missione. Così anche voi chiamate altri a stare con voi per sperimentare la gioia del Vangelo e trasmetterla agli altri.
Per evangelizzare non basta l’entusiasmo e neppure la giovinezza: è necessaria la pazienza e l’umiltà. L’annuncio per essere accolto ha bisogno che si creino le condizioni favorevoli: le persone, per prendere sul serio la buona notizia di Gesù, hanno bisogno di sentirsi amate in modo incondizionato, ascoltate e prese sul serio nelle loro domande profonde. Hanno bisogno di tempo per maturare la loro ricerca e dare una risposta personale e consapevole. Non spaventatevi quindi se non vedrete subito i frutti del vostro impegno e del vostro servizio e neppure se dovrete attendere a lungo prima che le persone diventino disponibili a ricevere un annuncio esplicito di Gesù e del suo Vangelo. Fatevi compagni di strada di quanti incontrate: come Gesù sulla strada di Emmaus accostatevi con discrezione e amorevolezza a quanti incrociate, fate emergere le loro domande anche quando sono scomode o possono sconcertarvi, abbiate il coraggio e l’abilità di spiegare loro le Scritture così da far ardere i loro cuori.
Carissimi, la sfida che la Chiesa, la nostra Chiesa di Adria-Rovigo ma pure tutta la Chiesa, ha davanti è grande, così pure è grande la scommessa che voi fate rispondendo alla chiamata che il Signore ha fatto risuonare nella vostra vita. Voi sapete che da un punto di vista umano non avete davanti una vita facile, onori, ricchezze, posizioni di privilegio: la remunerazione mensile di un prete giovane (ottocento euro + le offerte delle messe) è inferiore a quella di un operaio non specializzato. Il vostro «investimento», per usare una terminologia economica, è di altro genere: voi investite la vostra vita su Gesù e sul suo Vangelo. Sappiamo che egli promette il centuplo quaggiù e la vita eterna. Credeteci e la vostra vita sarà bella e appagante, anche in mezzo alle tribolazioni e alle fatiche che non mancheranno. La gioia del Vangelo ci ripaga di ogni fatica e di ogni tribolazione.
A voi, ragazzi e giovani, presenti numerosi a questa celebrazione, dico di non aver paura di mettervi in ascolto di Gesù e del suo Vangelo. Voi aspirate ad una vita bella, desiderate trovare qualcosa di grande che dia senso al vostro impegno e alle vostre aspirazioni. il Vangelo è una Parola di Vita e se lo lasciate risuonare dentro di voi, troverete anche voi il tesoro nascosto e la perla preziosa per cui vale lasciare tutto il resto.
In questo momento, nella nostra Diocesi ma anche nel resto d’Italia, stiamo toccando il punto più basso riguardo alle vocazioni: anche in Diocesi di grande tradizione, i seminari sono quasi vuoti. È facile lasciarsi prendere dallo sconforto e pensare che i preti che stiamo ordinando (per fortuna ce ne sono ancora!) siano gli ultimi. La spiegazione di questa crisi a mio avviso va cercato proprio nel momento di trapasso che la chiesa sta vivendo: c’è una forma di chiesa che va morendo e ce n’è una nuova che sta faticosamente emergendo. Che cosa fare in questo passaggio epocale: non possiamo più proporre ai giovani una forma di chiesa e di ministero che appartiene al passato, possiamo però affrettarci ad andare oltre, mettendoci nella prospettiva di una chiesa piccola e debole, come quella delle origini, che però vive e testimonia il Vangelo. Una Chiesa che ripone la sua forza e la sua ricchezza nel Vangelo vissuto e testimoniato ha molto da dire agli uomini e alle donne del nostro tempo. Può essere attraente anche per i ragazzi e i giovani: se sapremo anche noi «passare sull’altra riva» seguendo il Signore, io credo che ci saranno ancora giovani generosi capaci di rispondere alla chiamata del Signore.
Concattedrale-Duomo di S. Stefano, Rovigo, 3 giugno 2023