«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15, 16). Queste parole di Gesù, riportate dal Vangelo di Giovanni, ci aiutano ad entrare nel significato del rito che stiamo celebrando. Anche il nostro Alessandro è stato scelto dal Signore, attraverso la Chiesa, nella persona del Vescovo, per diventare ministro, cioè “servitore”, del Vangelo e del Regno di Dio, oggi come diacono e un domani come presbitero. Il ministero sacro infatti non è una professione che ognuno sceglie in base ai propri gusti e alle proprie sensazioni. Come è avvenuto nella prima comunità quando sono stati istituiti i primi diaconi – lo abbiamo sentito nella seconda lettura – anche oggi è la Chiesa che in base alle sue necessità sceglie alcuni per il ministero. Dicono gli apostoli al gruppo dei discepoli: «Cercate tra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito Santo e di sapienza ai quali affideremo questo incarico» (At. 6, 3). Anche Alessandro è stato scelto, come avete potuto vedere poco fa. È stato scelto perché ha riconosciuto nella sua vita una chiamata del Signore a servire la Chiesa ed ha corrisposto a questa chiamata rendendosi disponibile ad un cammino di discernimento e di formazione, lungo (sei anni!) e non privo di fatiche.
Alessandro oggi offre al Signore e alla Chiesa tutta la sua vita: questo dono totale di sé trova espressione in modo tutto particolare nell’impegno di abbracciare il celibato per il Regno. Non si tratta solo di rinunciare al matrimonio e ad una famiglia, ma in positivo di seguire l’esempio di Gesù di essere al servizio dei fratelli nella libertà da altri vincoli umani e nella gratuità. Il celibato per il Regno non è una rinuncia ad amare, ma la possibilità di vivere un amore grande, quello stesso tipo di amore che Gesù ha vissuto nella sua vita terrena.
Proprio per essere disponibile ad assumere questi impegni, Alessandro è stato scelto e per questo ora viene consacrato. Che cosa significa «viene consacrato»? Ci aiutano a capirlo le parole del profeta Isaia che abbiamo sentito nella prima lettura: «Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione, mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore» (Is. 61, 1-2). Tra poco imporrò su di lui le mani: questo gesto esprime il dono dello Spirito che prende possesso della persona di questo nostro fratello e lo rende abile a svolgere il ministero. E’ lo Spirito che renderà la sua vita e le sue parole espressione della Chiesa: essere consacrato vuol dire proprio questo, appartenere a Cristo in modo nuovo per essere segno sacramentale di Lui e della sua Parola.
Come forse già avete intuito l’ordinazione diaconale non è una semplice tappa verso l’ordinazione presbiterale (Alessandro infatti è in cammino per diventare prete) come lo erano altri momenti a cui molti di voi hanno partecipato (l’ammissione tra i candidati, il lettorato, l’accolitato). È un passaggio definitivo, potremmo dire la porta d’ingresso in una condizione nuova di vita: non solo quindi poter svolgere alcune funzioni (ad es. predicare, dare il battesimo, assistere alle nozze), ma essere segno di Cristo Servo per i fratelli. Diacono infatti vuol dire «servitore». La Chiesa non ha bisogno solo di chi rappresenti Cristo capo e sacerdote (i presbiteri e i vescovi) ma anche di chi renda presente sacramentalmente Cristo Servo. E’ significativo che prima di diventare prete, un candidato debba essere ordinato diacono e per un certo lasso di tempo esercitare il ministero diaconale. Non è solo questione di “gradi” (si parte da un ministero inferiore per passare poi a quello più alto): chi esercita un’autorità deve prima avere sperimentato che nella Chiesa il ministero è sempre un servizio e pertanto anche quando si agisce nella persona di Cristo capo e sacerdote (è il caso del presbitero) lo si deve fare con lo spirito di colui che serve.
Ringraziamo Alessandro per il suo «sì» alla chiamata. Un grazie va poi ai suoi genitori, che lo hanno cresciuto nella fede e nella vita cristiana in famiglia, la «chiesa domestica» senza della quale non c’è vita ecclesiale. Grazie pure al Seminario e ai formatori che lo hanno seguito in questi anni.
Concludendo vorrei rivolgermi a voi cari giovani, ragazzi e ragazze, presenti numerosi a questa celebrazione. Desidero invitarvi a non avere paura di fare scelte impegnative. La cultura in cui siamo immersi vi suggerisce di non prendere impegni definitivi, di mantenervi aperte tutte le strade perché vi insegna che solo così è possibile conservare la propria libertà. Il Vangelo ci mostra invece un’altra via: la libertà sta nel donare se stessi in modo totale e definitivo per una causa grande, sia essa il matrimonio, la consacrazione religiosa, il ministero sacro. Certamente qualcuno, qualcuna, tra voi ha sentito anche il richiamo interiore a impegnare la propria vita per il servizio della Chiesa e la testimonianza del Vangelo. Non abbiate pura di coltivare questo richiamo e di dire il vostro sì: la Chiesa, ma oserei dire ancora i più l’umanità, ha bisogno di uomini e donne che si consacrino totalmente alla causa del Regno di Dio. La libertà vera, quella che ci insegna il Signore Gesù, nasce dall’amore che si impegna e si dona senza riserve. È veramente libero solo chi decide di donare la propria vita per sempre, senza se e senza ma. Alessandro oggi abbraccia questa via: anche voi come lui potete trovare il coraggio di imboccarla: è la via della vita piena e riuscita, è la via dell’amore!