In questo mattino del giorno di Natale celebriamo la messa detta «dell’aurora», in cui ci viene proposta l’esperienza dei pastori, i primi testimoni della nascita del Salvatore. Vi propongo pertanto di prendere ispirazione da loro per vivere questa festa di Natale.
«Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Questa frase con cui i pastori reagiscono all’annuncio dell’angelo richiama un primo atteggiamento spirituale che ci deve guidare in questa mattina di Natale: anche noi dovremmo sentire il desiderio di «vedere» l’avvenimento della nascita di Gesù. Nel linguaggio del Vangelo, «vedere» non significa soltanto la reazione di fronte ad un fatto di cui si viene a conoscenza, «vedere» è anche il verbo della fede: indica l’accoglienza e l’adesione ad una parola che è diventata evento. Il vedere dei pastori si esprime attraverso una varietà di gesti e di sentimenti: la fretta, lo stupore, la lode.
«Andarono senza indugio ….»:la fretta, ma sarebbe meglio dire la prontezza, con cui lasciano il loro riparo per cercare il segno del bambino indicato loro dall’angelo esprime il desiderio di salvezza che alberga nei loro cuori. Solo a loro Dio rivela l’evento che si è compiuto a Betlemme: a loro che non hanno nulla, che faticano e lottano duramente per vivere, che sono emarginati ed esclusi, ma proprio per questo sanno accogliere il segno umile e povero che viene loro offerto. Non hanno perplessità, partono subito perché non avendo nulla da perdere sono liberi. Anche oggi per celebrare un Natale da cristiani bisogna avere un vivo desiderio di Gesù: dobbiamo portare nel cuore il desiderio di conoscerlo di più, di sapere le sue parole, i suoi sentimenti profondi, il suo rapporto con il Padre. Questo desiderio è possibile là dove siamo liberi dall’affanno per le cose e i beni di questo mondo: l’esperienza spirituale del Natale non è per chi è ricco, potente, orgoglioso e sicuro di sé.
Un secondo sentimento caratterizza l’esperienza spirituale dei pastori, ma anche di coloro che raccolgono il loro racconto, è lo stupore: lo stupore nasce dal riconoscere l’agire di Dio nella debolezza e fragilità di un bimbo avvolto in fasce. I pastori e coloro che ascoltano il loro racconto si stupiscono perché sanno scoprire una porta verso l’infinito proprio nella realtà piccola e limitata di un bambino. La bellezza di Dio è l’umiltà. Anche dallo stupore dei pastori possiamo trarre un insegnamento per noi: potremmo dire che per vivere il Natale abbiamo bisogno di ritornare un po’ bambini, di recuperare quell’infanzia spirituale che ci permette di provare stupore, di lasciarci toccare da un annuncio che altrimenti rischiamo di dare per scontato.
La fretta e lo stupore sfociano infine nella lode: il canto degli angeli trova corrispondenza in quello dei pastori che tornano ai loro ripari «glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano visto e udito». Fare Natale dovrebbe farci provare questo stesso desiderio di lodare il Signore: il nostro modo di fare festa oggi dovrebbe manifestare la gioia profonda che la nascita di Gesù suscita nei nostri cuori. In particolare la nostra liturgia nella solennità dei gesti e dei canti dovrebbe manifestare quanto anche noi abbiamo visto nella fede perché altri possano credere che Gesù è il Salvatore.