Siamo giunti ormai al termine di questo giorno di festa così caro e così sentito. Anche la messa che stiamo celebrando come quelle che l’hanno preceduta (la messa della notte e quella dell’aurora) ci presenta il Natale come festa di luce. Nella prospettiva di chi crede infatti ciò che rende speciale questo giorno è la «splendida luce» che ha illuminato la notte oscura dell’umanità e ora brilla nella pienezza del suo fulgore.
Il brano del vangelo che è stato proclamato (il «prologo» del Vangelo di Giovanni) ci ha descritto l’itinerario di questa luce che dalle origini e dalle altezze di Dio scende nel mondo per rischiarare le sue tenebre e dargli nuova vita. Là infatti dove arriva la luce, la vita può diffondersi e rifiorire; al contrario, tutto è avvolto nel buio, c’è solo il deserto e la morte. La luce poi non solo dà la vita, ma ci permette di vedere la realtà di questo mondo, in particolare ci permette di vedere l’azione di Dio dentro la storia dell’umanità.
La luce che viene nel mondo e che sconfigge le tenebre è il Verbo di Dio, che si è fatto carne ed è diventato visibile in Gesù di Nazareth, il Bambino nato da Maria a Betlemme. Noi allora possiamo vedere la «gloria di Dio» nella «carne» dell’uomo Gesù, nell’umanità fragile e debole che il Verbo ha assunto venendo in questo mondo. Per questo, come affermano sia la prima lettura che il salmo responsoriale, con la nascita di Gesù tutti gli uomini possono vedere la salvezza di Dio.
Davanti al mistero del Natale (mistero nel linguaggio della fede è una realtà infinitamente grande e bella) la nostra reazione non può che essere di stupore e di lode. Se veramente comprendiamo chi è il Bambino nato a Betlemme riconosciamo in lui la risposta al bisogno profondo e ineludibile di speranza che tutti portiamo nel cuore. Senza speranza infatti siamo condannati a lasciarci vivere. Senza speranza è impossibile impegnarci per la fraternità, la pace, la giustizia. Senza speranza non ci resta che rassegnarci ad essere vittime del male, della prepotenza, dell’odio o peggio ancora a farcene anche noi complici.
Abbiamo bisogno di una speranza su cui poter contare, una speranza che non delude. La speranza che cerchiamo non è semplicemente la proiezione del nostro desiderio di bene, ma l’orientamento del cuore verso una meta grande, degna di essere perseguita. Questa speranza non viene da noi stessi, ma è un dono che viene dall’alto.
Il Bambino nato a Betlemme, povero tra i poveri, è la risposta a questo bisogno profondo e ineludibile: Gesù Cristo è la nostra speranza, come dice Paolo (1Tim. 1,1).
Il Giubileo, che ieri sera il Papa ha aperto a Roma e che noi come Chiesa diocesana apriremo domenica prossima, ha proprio questo significato: è un invito, un richiamo a mettersi in cammino per trovare Cristo nostra speranza. Quello che ci viene chiesto non è tanto muoverci da un luogo all’altro, ma un percorso spirituale fatto di conversione, di perdono, di giustizia. Se decideremo di farci «pellegrini di speranza» diventeremo anche noi testimoni e portatori di speranza in questo mondo smarrito e succube della sfiducia e della paura.