Il Signore ha chiamato a sé il nostro caro don Arnaldo nei giorni dell’Ottava di Natale, i giorni in cui la liturgia ci invita a contemplare il mistero di Dio fatto uomo. Colgo in questa circostanza un invito a guardare la sua morte alla luce dell’incarnazione del Figlio di Dio.
Mandando nel mondo il suo Figlio, Dio si è fatto uomo perché l’uomo potesse diventare Dio: come ripetiamo spesso in un canto molto usato nel periodo natalizio «Dio si è fatto come noi per farci come lui». Giovanni, nel brano della sua prima lettera, proclamato nella seconda lettura, esprime tutto il suo stupore di fronte a questa verità: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio e lo siamo realmente». Essere figli di Dio però ha delle conseguenze anche sulla nostra sorte ultima: «Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è».
Nella prospettiva della fede la morte è allora una nuova nascita, un passaggio oltre il quale diventa possibile per il credente vedere il volto di Dio e vivere nell’unione con lui.
Don Arnaldo si era preparato a questo passaggio: in particolare negli ultimi mesi vedendo che la situazione della sua salute era sempre più precaria si è preoccupato di disporre delle sue cose e a chi gli ha fatto visita durante la degenza in ospedale nelle ultime settimane ha detto di essere pronto anche per l’ultimo definitivo passaggio. Del resto chi lo ha conosciuto sa che era un uomo forte e determinato. Un suo parrocchiano lo ha descritto come una personalità «essenziale, schiva, quasi rude a volte, da imparare a prendere ma al contempo determinato a non mettere al centro se stesso ma Dio, la sua parola e il servizio alla Chiesa». Anch’io posso dare testimonianza di questo: l’ho incontrato la prima volta in un contesto molto difficile per lui e anche per me e ho dovuto prendere nei suoi confronti una posizione molto decisa. Ciononostante lui ha capito le mie preoccupazioni e in seguito ha cercato di recuperare il rapporto e mi ha manifestato stima e amicizia, rivelandosi come un uomo, un prete, con un carattere forte e a volte spigoloso, ma capace anche di ritornare sui suoi passi e di ricucire le relazioni.
Don Arnaldo era nato a Ceregnano il 3 marzo 1932 e da giovane aveva frequentato lo studentato dei frati minori conventuali. Dopo la professione religiosa era stato ordinato sacerdote a Padova nella Chiesa dell’Arcella il 2 ottobre 1960. Prestò servizio in varie comunità dell’Ordine a Verona, a Padova e a Mestre. Nel 1978 chiese ai superiori di poter fare un’esperienza nel clero della nostra Diocesi e successivamente ottenne il permesso di lasciare l’Ordine dei frati minori conventuali per diventare sacerdote diocesano. Nella nostra Diocesi fu dapprima parroco di Paolino dal 1979 al 1985. In data 1° gennaio 1986 fu nominato parroco di San Pio X, dove rimase fino all’ottobre del 2010 quando rinunciò all’ufficio per motivo dell’età. Da quanto intuisco il periodo trascorso a San Pio X è stato l’esperienza più significativa della sua vita di prete, coincidendo anche con il tempo della sua maturità. Negli anni successivi continuò a prestare il suo ministero collaborando nelle parrocchie cittadine di San Francesco e del Duomo.
Affidiamo ora al Signore la vita di questo nostro fratello, che per più di 60 anni ha servito la Chiesa come sacerdote: il bene che ha fatto gli ottenga il perdono per le fragilità e i limiti che possono aver segnato la sua azione. Ora per lui è venuta l’ora di udire la voce del Figlio di Dio che chiama ad una risurrezione di vita i suoi servi buoni e fedeli. Conserviamo nel cuore gli insegnamenti e gli esempi che ci ha lasciato facendone tesoro per il cammino che ancora ci attende.
Rovigo, Chiesa di San Pio X
31/12/2021