MESSA DI SUFFRAGIO PER IL SEN. ANTONIO BISAGLIA NEL XL ANNIVERSARIO DELLA MORTE

Come afferma Papa Francesco in Evangelii Gaudium, la politica «è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune» (n. 205).
24-06-2024

Celebriamo questo rito di suffragio nel contesto liturgico della solennità della Natività di San Giovanni Battista: il sen. Bisaglia infatti è morto il 24 giugno di quarant’anni fa. Questa coincidenza ci offre qualche spunto per leggere nella fede la vicenda umana di questo nostro fratello, che si dedicò, possiamo dire per l’intera sua esistenza terrena, all’attività politica.

La liturgia mette in evidenza la missione profetica del Battista: egli continua e porta a compimento la grande tradizione dei profeti dell’Antico Testamento preparando da vicino la venuta del Messia Salvatore. È infatti l’unico dei profetti che non solo ne tiene viva l’attesa, ma ha la grazia di indicarlo presente in mezzo al popolo. In particolare la sua missione è stata quella di preparare il popolo ad accogliere il Salvatore attraverso un battesimo di conversione. È interessante notare come la conversione predicata da Giovanni non era esclusivamente religiosa, non si limitava cioè a chiedere dei gesti e delle pratiche religiose, ma riguardava l’intera esistenza, sia dell’individuo che della società. Questo aspetto è sottolineato particolarmente dall’evangelista Luca (cf Lc 3,1-20), che mette sulla bocca del Battista le parole di Isaia: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!  Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!». Sono parole che alludono nono solo alla fine di ogni prepotenza e di ogni ingiustizia, ma soprattutto ad un impegno per il rinnovamento delle coscienze, un rinnovamento che ha conseguenze anche nella vita sociale e politica. La conversione esige che vengano praticate la fraternità e la giustizia e questo è possibile a tutti. È significativo in questo senso il dialogo di Giovanni con i soldati e con i pubblicani (gli esattori delle tesse), categorie disprezzate dagli uomini religiosi, che li consideravano dei «peccatori» in forza della loro professione, a prescindere dalle loro disposizioni personali. Per il Battista invece la salvezza è possibile anche per loro, purché pratichino la giustizia nella loro professione. Possiamo applicare queste considerazioni anche a chi si dedica all’attività politica. Molte cose sono cambiate dal lontano 1984, anno della morte del sen. Bisaglia. Tra le altre è cresciuta la disaffezione dalla politica, che si manifesta soprattutto nella non partecipazione al voto e in un diffuso giudizio negativo verso chi fa politica. Ma anche i politici possono salvarsi, ci direbbe Giovanni il Battista, anzi la politica, vissuta nel suo significato autentico è un modo esigente per esercitare la carità. Come afferma Papa Francesco in Evangelii Gaudium «è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune» (n. 205).

Questa visione non era estranea ad Antonio Bisaglia, non solo per l’educazione religiosa ricevuta in famiglia e in parrocchia (da ragazzo è stato anche per due anni alunno del Seminario diocesano) e per la militanza giovanile nell’Azione Cattolica. Alla fede e alla vita cristiana rimase legato per tutta la vita. Lo dimostra in particolare il testamento spirituale, pubblicato dal nostro settimanale diocesano nel primo anniversario della scomparsa. Vi si leggono espressioni che attestano una fede viva: «Questi sono i miei ultimi pensieri e le mie ultime riflessioni. Anzitutto il mio primo pensiero di fede e di riconoscenza va al Signore mio Dio e Padre che tanto mi ha dato di intelligenza e soddisfazioni. A tutti coloro che in me hanno riposto fiducia voglio dire che posso lasciare questo passaggio dopo aver lavorato per le comuni idee con serietà, onestà e impegno. Ai tanti amici va la mia gratitudine per il bene che insieme abbiamo fatto. Chiedo perdono a Dio per i peccati commessi e a tutti per le mancanze e gli errori compiuti. Ho ricevuto del male, ma per tutti quelli che me ne hanno fatto, ti chiedo Signore, perdono».

Nella complessità dell’impegno politico, conservò sempre il riferimento alla dimensione dei valori e degli ideali, vivendo la fatica e lo sforzo di coniugare questa dimensione con le situazioni concrete e con gli interessi di persone e di gruppi. Questa tensione, a giudizio di un altro grande polesano, il filosofo Armando Rigobello, lui pure impegnato politicamente, è una chiave importante per comprendere l’azione politica di Antonio Bisaglia. Dopo aver ricordato una sua frase emblematica («Il pragmatismo è una necessità nella cura delle cose quotidiane ma non deve sconfinare nell’empirismo») e aver spiegato che per lui la politica doveva fare sintesi tra «i valori, espressi e difesi; le istanze civili interpretate; gli interessi legittimi tutelati», Rigobello così delinea la visione politica dell’amico e collega di militanza: «L’uomo politico, che si delinea nelle pagine del discorso di Antonio Bisaglia [all’Assemblea Nazionale della DC del 1981], è quell’uomo che vive a contatto di situazioni limite proprie del contesto sociale, ossia in situazioni in cui si incontra la realtà umana nelle sue tensioni morali ed insieme la si coglie immersa in una spregiudicata lotta di interessi. In questo contatto anche la sua vita si fa tensione etica ed insieme è sollecitata da spregiudicatezza prammatica. In ogni caso è un’avventura degna di essere vissuta, un gratificante e talvolta doloroso e sconcertante servizio alla società» (A. Rigobello, Un pragmatista di solidi principi, in AA.VV. Toni Bisaglia, nel partito, nel governo, in Parlamento, (Rovigo 1986), pp. 37-38).

Non è questa la sede per dire se e quanto Bisaglia sia riuscito in questa avventura, che è comune ad ogni cristiano che si impegna in politica. È importante però ricordare che ha affrontato questa sfida e ha cercato, con i limiti della umana fragilità, di fare il bene del Paese e, in particolare, della sua terra di origine. La nostra preghiera questa sera, a quarant’anni dalla sua tragica scomparsa, non può non esprimere il sentimento della riconoscenza per tante realizzazioni dovute al suo impegno e alla sua lungimiranza, realizzazioni di cui il Polesine gode tuttora. Allo stesso tempo, mentre invochiamo dal Padre di ogni misericordia, la pace e il riposo eterno per questo nostro fratello, chiediamo che, valorizzando l’esempio di tanti cristiani che si sono impegnati nell’azione politica, si apra una nuova stagione di impegno e di servizio alla società e al Paese ispirati al pensiero sociale della Chiesa, pensiero sempre attuale e fecondo di nuove e più incisive realizzazioni.