Le ultime ore dell’anno sono segnate da una serie di consuetudini, improntate soprattutto al divertimento. E’ forte il bisogno di evadere dalla realtà, quasi ad esorcizzarne gli aspetti negativi e a propiziare improbabili fortune per l’anno che verrà. Ben diverso è l’atteggiamento con cui la fede cristiana ci insegna a guardare al tempo che passa: seguendo l’esempio di Maria anche noi siamo invitati a tenere fisso lo sguardo su Gesù, nuovo Sole apparso all’orizzonte dell’umanità e, confortati dalla sua luce, presentargli “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono” (Conc. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 1).
Ci sono due modi di considerare il tempo: quello legato al ciclo solare dove tutto si ripete, e quello che invece ci viene presentato dalla rivelazione biblica. Da un punto di vista naturale, il tempo infatti è segnato dalla rotazione della terra attorno al proprio asse (24 ore/un giorno) e dal movimento della terra attorno al sole: 365 giorni. In questa visione tutto si ripete e si ritorna sempre all’inizio.
L’anno che si chiude porta con sé molti interrogativi da un punto di vista economico, politico, sociale: in questo contesto è facile pensare che nulla cambia e che l’unica possibilità è quella di difenderci per non perdere quello che abbiamo. Chiusura, sfiducia, disillusione sono i sentimenti più diffusi. Ho trovato l’altro giorno sul Corriere della Sera questa riflessione: «Non vanno ricostruite soltanto le strade e le periferie. E’ più importante ancora ricostruire la fiducia in noi stessi, nel Paese, nell’avvenire. La fiducia è la merce più rara nell’Italia di oggi. Nessuno si fida più di nessuno (…). La Rete trasmette la cultura del risentimento e della deresponsabilizzazione sterile e controproducente. La colpa è sempre degli altri. (…) Il vero cambio che dovremmo chiedere all’anno che verrà è proprio questo: capire che molto se non tutto, dipende da noi. La salvezza non verrà dalla politica: verrà da noi stessi».
Assumere le nostre responsabilità, credere in un futuro migliore, cercare di unire le forze: un impegno arduo, che può trovare nella visione cristiana del tempo e della storia un aiuto fondamentale. La Bibbia infatti ci parla del tempo come lo spazio in cui si realizza la promessa di Dio. La vita dell’umanità è un cammino verso quella che Paolo chiama la «pienezza del tempo”, cioè il momento culminante della storia dell’universo e del genere umano, quando il Figlio di Dio nacque nel mondo. Il tempo delle promesse si è compiuto e, quando la gravidanza di Maria è giunta al suo termine, “la terra – come dice un Salmo – ha dato il suo frutto” (Sal 66,7). La venuta del Messia, preannunziata dai Profeti, è l’avvenimento qualitativamente più importante di tutta la storia, alla quale conferisce il suo senso ultimo e pieno.
Guardando al tempo che passa in questa prospettiva, possiamo aprire il cuore alla benedizione e alla lode: anche a noi Dio ha rivelato «il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra». Per questo nell’ultimo giorno dell’anno anche noi intoniamo il Te Deum, inno di lode e di ringraziamento alla Santissima Trinità. Cantando pregheremo: “Te ergo, quaesumus, tuis famulis subveni, quos pretioso sanguine redemisti– Soccorri, te ne preghiamo, i tuoi figli, Signore, che hai redento col tuo sangue prezioso”. “Salvum fac populum tuum, Domine, et benedic hereditati tuae– Salva il tuo popolo, Signore, guarda e proteggi i tuoi figli che sono la tua eredità”.
Nonostante i tanti motivi di preoccupazione personali e sociali sappiamo che il Signore non ci abbandonerà: “In te, Domine, speravi: non confundar in aeternum– Signore, tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno”. L’inno maestoso del Te Deum si chiude con questo grido di fede, di totale fiducia in Dio, con questa solenne proclamazione della nostra speranza. È Cristo la nostra speranza, una speranza «affidabile» per noi come singoli ma anche per la società in cui viviamo.