Non è facile ringraziare Dio alla fine di un anno come quello che sta per finire, segnato dalla speranza di uscire dal tunnel della pandemia, ma anche dal riproporsi di ansia e preoccupazione per il riaccendersi dei contagi, come sta accadendo in questi ultimi giorni.
Rendere grazie a Dio questa sera non è frutto di un sentimento o di uno stato d’animo: è un atteggiamento spirituale che nasce da uno sguardo sulla storia umana illuminato dalla fede. I testi biblici che abbiamo ascoltato ci aiutano a fare nostro questo sguardo, che ci permette di non lasciarci schiacciare dal pessimismo, dalla delusione e dallo scoraggiamento.
Del resto quanto stiamo vivendo non è qualcosa di nuovo ed inedito nella storia dell’umanità: ogni generazione ha dovuto affrontare catastrofi naturali, epidemie, guerre. Anche le belle espressioni di rendimento di grazie ascoltate nella prima lettura vennero scritte in un tempo difficile per il popolo ebreo: un piccolo resto era tornato dall’esilio e con grande fatica cercava di riprendere la vita sociale e religiosa in una Gerusalemme tutta da ricostruire. Il profeta invita a ricordare i momenti in cui nel passato Dio era intervenuto per salvare il suo popolo. Gli interventi di Dio sono la dimostrazione del suo amore: egli si è legato ad Israele con un vincolo di Alleanza. Israele è il «suo popolo», espressione che evoca la formula dell’Alleanza («Io sarò il tuo Dio e tu sarai il mio popolo»). Dio è il Padre, il Salvatore: non c’è salvezza lontano da lui: «Non un inviato né un angelo, ma egli stesso li ha salvati; con amore e compassione li ha riscattati, li ha sollevati e portati su di sé, tutti i giorni del passato». Ecco dove nasce il nostro ringraziamento: possiamo rendere grazie a Dio perché scopriamo che Lui ci ha accompagnato in questo anno che sta per concludersi, ci ha sollevati e portato su di sé, come fa un papà con il suo figlioletto. Anche se abbiamo dovuto affrontare tante prove, anche se l’orizzonte è carico di nuvole minacciose, noi abbiamo motivo per dire grazie perché non siamo stati abbandonati e non ci siamo sentiti soli.
Forse non ce ne rendiamo conto, ma l’esperienza della fede, una fede convinta e matura, cambia veramente il nostro modo di pensare e di vivere. Riuscire ad esprimere nella fede un rendimento di grazie in questo passaggio da un anno all’altro cambia infatti anche il modo di guardare all’anno che verrà. Non si tratta di un ingenuo ottimismo, ma di una speranza affidabile. Come credenti infatti abbiamo la consapevolezza che il tempo e la storia degli uomini sono nelle mani di Dio e riconoscendo Lui come nostro Signore possiamo diventare partecipi di una storia di salvezza.
Questa visione di fede della storia ci è quantomai necessaria in questo momento storico: il prolungarsi della pandemia, insieme ai grandi cambiamenti che l’umanità intera sta vivendo, generano smarrimento e sfiducia. Facciamo fatica a vedere dove stiamo andando e così si diffondono paura e angoscia. È stato osservato come certi comportamenti irrazionali che si stanno manifestando nella società e che si esprimono in forme di conflittualità esasperata nascono proprio da questo sentirsi smarriti e incapaci di intravedere un cammino verso il futuro. Per questo una fede matura, fondata sulla meditazione della Sacra Scrittura e allenata a leggere i segni dei tempi, è una grande risorsa per affrontare questo «cambiamento d’epoca».
Al termine di quest’anno dunque non abbiamo paura di guardare con riconoscenza a quanto Dio ci ha donato per attingere da questa memoria la forza e la fiducia di cui abbiamo bisogno.
Adria, Cattedrale
31/12/2021