Non abbiamo mai vissuto prima d’ora un inizio di Quaresima in cui non ci è data la possibilità di celebrare insieme il rito delle ceneri. La grave emergenza sanitaria che ha colpito anche il nostro paese, ha portato a sospendere tutte le celebrazioni comunitarie. Come cristiani sentiamo il dovere di ottemperare a quanto disposto dalle pubbliche autorità: sappiamo che di fronte a circostanze eccezionali per il bene pubblico è doveroso pagare un prezzo sociale, economico e anche religioso. In questo momento è importante che tutti siamo uniti nell’affrontare questa situazione di pericolo per la salute pubblica, accettando anche qualche sacrificio e dando fiducia a chi ha la grave responsabilità di governarci.
Ho letto oggi in una riflessione sulla Quaresima di una teologa questa considerazione: «Il coronavirus quest’anno è la nostra cenere». Come spiegano le parole che accompagnano l’imposizione delle ceneri («Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai»; «Convertiti e credi al Vangelo») le ceneri sono un richiamo alla nostra fragilità di creature e alla necessità di ritornare a Dio attraverso una autentica conversione personale e comunitaria. E’ un segno rituale, ma altri sono i segni impressi nella nostra storia, che siamo chiamati a cogliere perché attraverso di essi il Signore ci parla.
L’epidemia di questi giorni ci fa toccare con mano la fragilità della nostra condizione umana. L’illusione dell’onnipotenza, che la scienza e la tecnica hanno suscitato nell’uomo moderno, rischia di lasciare il posto ad una paura irrazionale. Come credenti siamo chiamati a leggere nella fede anche questo avvenimento: non per vedervi un castigo di Dio (Dio non è un burattinaio che tira le fila della natura e che ci premia e castiga a suo arbitrio) ma per imparare a vederci per quello che siamo, esseri incompiuti, creature bisognose di tornare al loro Creatore, come figli al proprio Padre.
Dover rinunciare il mercoledì delle ceneri e poi domenica alle celebrazioni liturgiche ci porta a vivere una forma inedita di digiuno. Anche la liturgia e i sacramenti sono necessari per la vita cristiana come il cibo per la vita fisica. Come il digiuno dal cibo ci aiuta ritrovare la capacità di accoglierlo e di gustarlo, così anche la rinuncia alla liturgia e ai sacramenti a cui siamo costretti in questi giorni può diventare un’occasione per riscoprirne il valore autentico andando alla sorgente della fede che è il nostro rapporto personale con Dio. Dobbiamo interrogarci se non diamo troppo peso all’aspetto esteriore della vita cristiana, intesa come tradizioni sociali, abitudini consolidate da cui facciamo dipendere la vita stessa della chiesa.
Nel Vangelo che ci viene proposto in questo primo giorno di Quaresima ricorre l’invito a lasciare l’esteriorità: nel testo di Matteo ricorre tre volte l’espressione «nel segreto» applicata alla preghiera, al digiuno e all’elemosina, i tre pilastri della religiosità del popolo ebreo.
«Nel segreto» non è un invito a nascondere la propria fede: ciò sarebbe in contraddizione con l’invito fatto poco prima da Gesù ai discepoli di essere sale e luce del mondo, ma è un’esortazione a vivere la fede in una modalità più feconda preoccupandosi prima di tutto di gustare l’intimità e la profondità del rapporto con Dio, sradicando dal cuore ogni forma di ipocrisia. La nostra Quaresima sia un tempo per liberarci dalla preoccupazione per lo sguardo degli uomini per cercare invece quello sguardo del Padre che ci fa discepoli liberi e maturi in una relazione gratuita e disinteressata.