Abbiamo ascoltato il racconto della Passione di Gesù nella versione che ne dà il quarto Vangelo, il Vangelo di Giovanni. È un racconto diverso da tutti gli altri, perché in esso troviamo una chiave che ci apre al senso profondo della nostra vita e della nostra morte. Una chiave innanzitutto per i credenti, che in Gesù riconoscono il volto di Dio che si è fatto uomo per salvarci, ma una chiave preziosa anche per ogni uomo, che nel Crocifisso possono vedere ogni uomo che soffre e che muore. Per questo è un esercizio importante sostare ad ascoltare il racconto della Passione, un esercizio di fede, ma anche semplicemente di umanità.
Tra i tanti spunti che ci offre ne colgo solo uno: nella scena culminante quella dell’agonia sulla croce, Giovanni sottolinea che ai piedi della croce stava Maria e con lei il discepolo che Gesù amava. Questo particolare ci dice che è importante stare presso la croce: concretamente per noi è condividere le sofferenze dei fratelli, far sentire la nostra partecipazione e la nostra vicinanza. È il dono più grande che possiamo fare a chi soffre, penso ai malati di questo ospedale. Senza togliere nulla all’importanza delle terapie, la partecipazione e la vicinanza è ciò di cui il malato ha più bisogno.
Non abbiamo paura allora di «stare sotto la croce» e cerchiamo di starci con speranza: non basta che condividiamo la sofferenza e neppure che cerchiamo di alleviarla. Dobbiamo anche fare un passo in più: dobbiamo dare speranza. Come Maria, la Madre di Gesù, che sotto la croce lacerata nell’anima, ha continuato a credere e a sperare «contro ogni speranza». Per chi crede la sofferenza non è assurda, ha un senso e oltre la morte ci aspetta la vita di Dio, la risurrezione. È questa fede che ci permette di stare vicino ai malati e di offrire loro una speranza che non delude.
Vorrei concludere con la testimonianza di un sacerdote che in un libro di prossima pubblicazione descrive la sua esperienza durante il covid, don Marco Galante, cappellano dell’Ospedale di Schiavonia:
«Una presenza, una carezza, una parola, sono un abbraccio che ci dice “non sei solo”, “non temere”. Per chi crede la fede è una forza che scatena energie e speranze, trova risposte infinite e a domande misteriose. Perché qui su questa terra il mistero non si risolve e l’infinito non si raggiunge. Si sfiora e si percepisce, ma non si può comprendere del tutto. Eppure c’è qualcuno che presta le sue mani, la sua voce, i suoi occhi, le sue parole perché briciole di mistero ci raggiungano e tocchino il nostro cuore. Non è merito. Non sono eroi. È chiamata. È prima di tutto cuore e vita. Sono uomini e donne che permettono di dar voce all’infinito. Io sono con te» (S. Melchiori – M. Galante, Io sono con te, Ed. Messaggero Padova 2024).