INCONTRO CON I SINDACI DEI COMUNI DELLA DIOCESI

A Trieste alla Settimana Sociale dei Cattolici discutendo delle piccole comunità è stato detto: «Piccolo è bello, ma non da soli». Mi sento di rilanciare questo messaggio, facendo presente la responsabilità che io come Vescovo, ma anche voi come amministratori, abbiamo su questo tema su cui si gioca il futuro di questo territorio
26-11-2024

Ringrazio innanzitutto per avere accolto il mio invito a questo incontro: l’invito nasce dalla convinzione che la chiesa e le istituzioni della società civile possono e debbono lavorare per il bene della comunità, pur nella distinzione dei diversi ambiti e competenze. È la stessa intuizione che ha messo assieme in un’unica immagine Matteotti e San Bellino, personaggi diversissimi ma accomunati dalla stessa passione per promuovere e difendere la dignità umana in un territorio come il nostro fragile dal punto di vista sociale ed economico, ma ricco di valori umani, storici e culturali.

Mi sembra importante prima di dare a Voi la parola, mettervi a parte di un cammino che la nostra chiesa diocesana sta facendo e che ha ricadute anche sulla Vostra attività di amministratori.

Inizio parlandovi di un percorso che stiamo facendo per dare una nuova forma ai servizi centrali della Diocesi (la c.d. “Curia”). L’aspetto più evidente è il trasferimento di tutti gli uffici che si trovavano nel Palazzo Vescovile nell’edificio ex Angelo Custode, portato a termine nello scorso mese di settembre. Non si tratta solo di una decisione nata da preoccupazioni economiche e logistiche, ma l’esito di un processo di riconfigurazione che dura da cinque anni e che abbiamo chiamato progetto “Casa della Diocesi”. Questa espressione richiama una visione (un “sogno”) di Chiesa: casa infatti evoca relazioni calde e cordiali, suggerisce intimità ed ospitalità. Il “centro” della Diocesi doveva pertanto strutturarsi con questa dimensione. Traslocare ha comportato anche un ripensamento del funzionamento dei vari uffici e servizi, sollecitati a pensarsi come parte di una stessa famiglia e non come corpi autonomi e staccati gli uni dagli altri. Dobbiamo dire che la Provvidenza ci ha anche aiutato, nel senso che la chiusura del Convento dei Frati Cappuccini e della mensa dei poveri ivi gestita, è diventata l’opportunità per aprire la Casa della Diocesi a chi è fragile e bisognoso. Abbiamo infatti assunto come diocesi il servizio della mensa e l’abbiamo collocato proprio al centro della nostra Casa: l’esperienza di questo primo anno ci dice che è un valore aggiunto, una ricchezza che ci fa crescere e ci fa creare relazioni nuove con la città e il territorio.

Questa operazione dice anche qualcosa del tempo che stiamo vivendo come chiesa: un tempo in cui ci viene chiesto di farci piccoli e scoprire che solo così possiamo vivere il Vangelo e diventare capaci di dirlo in modo credibile agli uomini e alle donne di oggi.

Questa considerazione mi introduce ad un discorso che vi chiama in causa come amministratori: mi riferisco alla presenza della Chiesa nel territorio attraverso della rete delle parrocchie. Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito alla costituzione delle unità pastorali (nella maggioranza dei casi più parrocchie affidate ad un solo parroco). Negli anni recenti sta diffondendosi un altro modello: un territorio vasto affidato ad un’equipe di più sacerdoti. È un modello che cambia la situazione non solo delle piccole parrocchie ma anche di quelle medie e grandi. Non è solo problema della mancanza di sacerdoti, ma di una forma nuova di chiesa che si va profilando.

In passato c’era un legame molto stretto tra la comunità locale e la parrocchia: quasi si identificavano. Ancora oggi è difficile pensare ad un paese o frazione che non sia parrocchia. Ciò ha avuto aspetti positivi, ma oggi presenta dei problemi, almeno dal punto di vista della vita ecclesiale. In primo luogo la piccola comunità non è più in grado di realizzare gli elementi essenziali di una parrocchia. Tante volte la sua vita si riduce alla messa domenicale, per un’assemblea molto ridotta. È indispensabile pensare per le piccole comunità ad una forma diversa di vita comunitaria dentro una nuova parrocchia che abbracci un territorio più vasto e dove ci sia uno o più centri eucaristici dove si possono riunire delle assemblee domenicali significative. Inoltre la parrocchia, così come è configurata sul territorio, rischia di essere non tanto una comunità di fede, ma un supporto per la vita sociale di una frazione. Gli aspetti sociali (di per sé buoni) finiscono per prendere il sopravvento su tutto ciò che riguarda un cammino di fede (la parrocchia come “pro loco di Gesù”). L’orientamento della Diocesi è quello di sciogliere questo connubio tra identità sociale e identità ecclesiale, conservando per quanto possibile la prossimità alle persone e alle famiglie ma in forme necessariamente nuove. È importante che come Amministratori conosciate il processo in atto per non coltivare attese che non sono più praticabili.

In questo contesto un problema molto delicato che coinvolge inevitabilmente anche le amministrazioni comunali riguarda le strutture immobiliari delle parrocchie: è in atto un ridimensionamento alienando, dove è possibile, quanto non serve più. In questo settore è molto importante tenere aperto un dialogo tra parrocchia e amministrazione. Ci sono molti esempi positivi. Da parte della Diocesi segue questa problematica l’ufficio tecnico/amministrativo diretto da don Paolo Cestarollo.

Una parola particolare meritano le Scuole d’Infanzia paritarie: la Diocesi ha cercato in questi anni di supportare le parrocchie sostenendo le scuole là dove è ancora sostenibile il loro funzionamento e accompagnando alla chiusura quelle situazioni dove non c’è futuro. La logica è di ragionare su un territorio più vasto: non sempre abbiamo trovato nelle Amministrazioni adesione a questa logica, qualche volta è prevalsa una visione “localistica”, tesa a salvare ad ogni costo la scuola del piccolo comune anche a costo di mettere in forte difficoltà i vicini.

Questa considerazione mi porta a parlare della necessità che nel nostro territorio maturi una visione più larga e un’apertura a cercare più sinergie vincendo la paura che il vicino mi fagociti. A Trieste alla Settimana Sociale dei Cattolici discutendo delle piccole comunità è stato detto «Piccolo è bello, ma non da soli». Mi sento di rilanciare questo messaggio, facendo presente la responsabilità che io come Vescovo, ma anche voi come amministratori, abbiamo su questo tema su cui si gioca il futuro di questo territorio. Mi piace citare quanto ha detto uno di voi in occasione dell’inaugurazione dei lavori di restauro del campanile del suo paese: «Il campanile è il simbolo che richiama alla nostra identità locale, ma è anche il punto più alto che ci consente di allargare lo sguardo a chi ci sta vicino, a percepire che non siamo soli ma viviamo dentro un contesto più grande». Ricordatevi che avete la responsabilità di aprire i vostri concittadini a questo sguardo più largo!

Un’ultima riflessione che vi propongo riguarda la necessità di un dibattito condiviso e partecipato circa l’idea di sviluppo del Polesine. Dal mio punto di osservazione mi sembra che questa idea manchi: ci sono molte iniziative di carattere economico e imprenditoriale, nate anche in tempi diversi e forse per questo poco coordinate. Si ha la sensazione che l’obiettivo a cui tendere sia quello di portare nuove industrie ad insediarsi nel nostro territorio, mettendo in secondo piano la natura dell’attività e la sua compatibilità con la storia e la conformazione del nostro territorio. Manca soprattutto una strategia per affrontare il problema cruciale della decrescita demografica. Inoltre va tenuta alta la guardia sul rispetto dell’ambiente, con riferimento anche all’impiego del suolo. Su queste problematiche sarebbe importante creare luoghi di confronto e di dibattito, promuovendo una partecipazione ampia e diffusa.