Dopo una lunga attesa, finalmente questa sera possiamo dare al nostro caro don Giuseppe l’ultimo saluto in questa Chiesa Cattedrale, dove ha ricevuto l’ordinazione diaconale e presbiterale.
La sua morte improvvisa e, dal nostro punto di vista umano prematura, ci ha lasciati attoniti e senza parole. Ci sentiamo tutti più poveri e più soli per aver perso un fratello e un amico, ma soprattutto un testimone coraggioso del Vangelo. Don Giuseppe, infatti, aveva una sensibilità particolare che nasceva dal suo desiderio di vivere il Vangelo senza compromessi, incarnandolo nella vita sociale e portandolo là dove la gente vive. Questa sensibilità gli ha creato anche qualche incomprensione, ma in tutte le comunità dove ha esercitato il suo ministero ha generato percorsi di impegno, di giustizia e di carità, segnando la vita di molte persone, come abbiamo potuto costatare dalle testimonianze di tante persone ieri sera nella Chiesa di Carbonara.
Non è stato facile neanche per lui rispondere a questa chiamata interiore a vivere il Vangelo, come bene spiegò nell’ultimo scritto inviato al nostro settimanale diocesano e pubblicato domenica 6 giugno. Dopo aver descritto alcuni fatti accaduti in parrocchia che lo facevano soffrire, faceva alcune considerazioni, che a mio avviso si riferiscono non solo al momento in cui scriveva, ma al suo intero percorso di vita e di ministero: «Tutto ciò mi spinge a riflettere sul clima faticoso e difficile che si è creato ultimamente in parrocchia: percepisco come tante persone fatichino ad accettare il mio ruolo, e per questo a volte tendano ad isolarmi e a non rispettarmi. Tale aridità nelle relazioni sta logorando la mia vita personale e negli ultimi tempi sono in grande difficoltà; Infatti, se da una parte provo affetto, tenerezza e misericordia per le persone che incontro, per l’Africa e per la storia dolorosa che nasconde, dall’altro lato porto il peso e la fatica di contrastare la resistenza al messaggio evangelico nonché a qualsiasi tentativo di svecchiamento di meccanismi profondi e radicati». Io credo che questo contrasto e questa lotta abbia accompagnato tutta la vita di questo nostro fratello: chi l’ha conosciuto l’ha definito «un combattente»: una lotta che non era contro qualcuno, ma principalmente interiore, tra la vicinanza ai fratelli e il peso di contrastare la resistenza al Vangelo. Molto significativa è la conclusione del testo. Don Giuseppe indicava nella fedeltà a Gesù e al suo Vangelo la risposta alle difficoltà che stava vivendo: «È chiaro che talune scelte impegnative per il futuro della comunità non possono essere imposte ma devono piuttosto essere spiegate, maturate e comprese in un cammino, con la consapevolezza, però, che prima o poi dovranno essere realizzate. Di fronte al male e al peccato, infatti, Gesù ci chiede un cambiamento, una conversione e se è certamente necessario accettare la gradualità di un percorso, è altrettanto necessario opporsi con forza di fronte al male, dire dei no. E ciò tanto più in una comunità cristiana il cui stile di vita dovrebbe distinguersi nel bene ed essere un segno umile ma vero, perché senza la Verità tutto questo non serve a nulla. In un contesto faticoso come quello appena descritto, la cosa più importante e irrinunciabile è essere fedeli a Gesù e seguirlo nel miglior modo possibile, accettando ogni giorno la propria croce senza pretendere di fare grandi miracoli: noi missionari sperimentiamo sulla nostra pelle l’esperienza della persecuzione nella difficoltà e nell’incomprensione che viviamo ogni giorno».
Mi sembra importante sottolineare questa frase: «La cosa più importante e irrinunciabile è essere fedeli a Gesù e seguirlo nel miglior modo possibile, accettando ogni giorno la propria croce». Sono convinto che in queste parole troviamo la chiave per comprendere la sua vita e le sue scelte. Certamente il carattere ha avuto un suo ruolo, ma al fondo di tutto troviamo proprio il desiderio di seguire Gesù e di vivere il suo Vangelo.
Per questo vogliamo far risuonare con particolare forza le Beatitudini del Vangelo. Anche a te, caro don Giuseppe, diciamo beato: beato te che hai voluto essere vicino ai poveri in Brasile, in Mozambico e anche qui in Italia, beato te che hai sofferto e lottato per la giustizia, beato te che hai patito l’incomprensione e talvolta l’ostilità perché non ti rassegnavi di fronte ai soprusi e allo sfruttamento. Ora è tuo il Regno dei cieli, ora la tua sete di giustizia troverà risposta.
La morte che ha colto il nostro fratello Giuseppe improvvisamente in un momento difficile e di prova, ha reso più luminosa la sua testimonianza. Come ci dice il libro della Sapienza a proposito dei giusti che muoiono prematuramente «Nel giorno del loro giudizio risplenderanno, come scintille nella stoppia correranno qua e là»: veramente questi lunghi giorni, che sono trascorsi tra la sua morte e l’arrivo dei suoi resti mortali qui nella sua terra terra natale, ci hanno permesso di cogliere la bellezza di una vita spesa per il Vangelo e, io ne sono convinto, hanno acceso in tanti cuori la scintilla di un impegno più serio e generoso di testimonianza cristiana nel mondo.
Ora che don Giuseppe ci ha lasciati, tocca a noi non lasciare cadere il messaggio che con la sua vita, e anche con la sua morte, ci ha dato. Il suo ricordo ci aiuti a incarnare il Vangelo nella vita degli uomini e donne del nostro tempo facendone il lievito di una società più giusta e più umana, In particolare chiediamo a don Giuseppe che interceda per la nostra Chiesa di Adria-Rovigo perché tenga sempre viva la dimensione missionaria vincendo la tentazione di chiudersi in se stessa e nelle sue necessità ma aprendosi all’umanità intera che attende testimoni credibili del Vangelo.