«Sono pronta» è la frase che le consorelle e altre persone che l’hanno incontrata negli ultimi giorni di vita, hanno sentito pronunciare da suor Maria, dopo aver confidato loro la sua preoccupazione per una situazione di salute che di giorno in giorno andava peggiorando.
«Sono pronta»: questa affermazione, chiaramente riferita alla percezione di essere giunta alla soglia oscura della morte, potrebbe sembrare una presunzione: chi ha conosciuto questa nostra sorella, però sa bene che non lo era. Suor Maria non faceva altro che esprimere la fede profonda, maturata nei lunghi anni della sua malattia. Lei dava così la sua risposta all’invito di Gesù: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lucerne accese: siate simili a coloro che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito».
Una quindicina d’anni fa era venuta dal Burundi in Italia per poter avere quelle cure che non erano disponibili nel suo paese. Aveva dovuto affrontare anche l’esperienza dolorosa di un trapianto di fegato e combattere con le conseguenze di questo intervento. La sua permanenza tra noi pertanto è coincisa con il tempo della malattia. Nonostante ciò ha saputo essere una presenza significativa, intessendo rapporti con tante persone e trasmettendo a chi la incontrava la percezione di una forte sensibilità e di una profonda spiritualità. In lei mi ha sempre colpito il senso di dignità: oserei dire che era una persona «nobile», perché nell’avvicinare le persone trasmetteva rispetto unito a una grande accoglienza. Forse proprio per questo è riuscita a intessere relazioni con tante persone.
Anche quando parlava dei suoi problemi di salute sapeva farlo con discrezione. Non nascondeva le sue sofferenze ma non si lamentava e non le faceva pesare sugli altri.
In questi anni insieme con la lotta contro la malattia, ha camminato nella fede. Proprio grazie alla malattia ha fatto un suo percorso di fede: il percorso più impegnativo che consiste nell’accettare di lasciare questo mondo per affidarsi all’amore del Padre. Anche lei, credo, ha meditato le parole di Paolo che abbiamo sentito nella prima lettura: «Sia abitando nel corpo, sia andando in esilio ci sforziamo di essere a lui graditi. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male».
Vogliamo ringraziare il Signore pertanto non solo per i servizi che ha fatto al Vescovo, come collaboratrice della Segreteria Vescovile, alla Casa del Clero e alla Chiesa di San Domenico, ma ancora di più per la testimonianza umile e silenziosa di fede che ci lascia. In fondo è questo che conta per una religiosa: far intravedere che ciò che vale veramente è l’unione con il Signore e la passione per il Regno di Dio, che è l’unico assoluto per chi vuol essere discepolo di Gesù.
Lodiamo il Signore perché attraverso le vie misteriose della sua Provvidenza ci ha donato di conoscere e apprezzare questa sorella, che in vita e in morte ci ricorda che dobbiamo prepararci all’incontro con il Signore per poter dire anche noi al termine della nostra vita: «Sono pronto».