Esequie di Renato Galleno, appartenente all’Istituto dei Servi della Chiesa

Mancato a 92 anni, lunedì 17 agosto le esequie a Badia Polesine (Rovigo) presiedute da mons. Pierantonio
17-08-2020

Ascoltando in questi giorni le testimonianze di tante persone che hanno conosciuto il nostro fratello Renato ho potuto constatare la verità della parola della Scrittura che abbiamo sentito nella prima lettura: «Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all’affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua oscurità sarà come il meriggio. Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono». Veramente Renato vivendo la carità è diventato una luce che ha illuminato tante persone, una sorgente che ha dissetato molti, un giardino in cui tutti potevano trovare ristoro.

Personalmente ho avuto modo di incontrarlo alcune volte in questi anni, ma più ancora dell’incontro con lui (ho avuto l’impressione di una persona schiva e riservata che non si metteva in mostra), mi ha colpito come si parlava di lui qui a Badia: ogni volta che qualcuno faceva il suo nome, si percepiva un rispetto e una venerazione speciali, come se ci si trovasse di fronte ad una persona non comune, un uomo che era fuori della dimensione ordinaria della vita semplicemente perché aveva deciso di vivere il Vangelo e di farsi padre e fratello di chi non aveva famiglia o, pur avendola, non aveva le cure e le attenzioni necessarie.

Renato, che era nato a Bagnolo in Piano (Reggio Emilia) il 5 gennaio 1928, dopo essersi laureato in pedagogia, aveva seguito il Servo di Dio don Dino Torregiani, fondatore dell’Istituto dei Servi della Chiesa, di cui diventò membro, abbracciando i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza nella forma di una consacrazione «secolare», da vivere cioè non nella separazione dal mondo, ma dentro la vita ordinaria, condividendo la vita degli uomini e delle donne. Di questo Istituto secolare Renato fu per cinque anni (dal 1974 al 1979) superiore generale. In particolare il nostro fratello ha abbracciato la scelta preferenziale per gli ultimi, che è una delle note caratterizzanti dell’Istituto dei Servi della Chiesa. Come si legge nelle Costituzioni lo spirito di questa “preferenza apostolica” è espresso in «un impegno di povertà rigorosa, quale immedesimazione nei più poveri e fonte di grazia per la loro salvezza» (art.6), conformemente alle esigenze del Vangelo, perché il Regno di Dio sia annunciato ad ogni creatura. Per questo i Servi e le Serve della Chiesa avranno particolare cura nel ricercare e nell’accogliere i più dimenticati e i lontani, condividendo con loro la Parola di Dio, l’Eucaristia, la casa e la mensa, «facendo con loro un cammino di liberazione e di salvezza» (art.40).

Renato ha esercitato questa scelta preferenziale per i poveri dapprima in Sicilia ad Alcamo in mezzo ai braccianti, sfruttati come schiavi dai caporali, e poi a Treviso a Villa Maria, una casa che accoglieva i figli delle famiglie che lavoravano nei circhi e nei luna park. Nel 1975 venne a Badia, dove gli fu affidato l’Istituto Fanciulli Sinti – Casa della Provvidenza di cui fu responsabile fino alla chiusura. Nel lungo periodo in cui operò qui a Badia egli lasciò una testimonianza luminosa, molto significativa per tutta la nostra Diocesi di Adria-Rovigo. La casa che egli ha diretto si è infatti sempre distinta per la dimensione familiare: era una vera famiglia perché c’era un vero padre, che vegliava sui bambini e ragazzi che gli erano affidati. E’ la carità evangelica, infatti, che può far nascere rapporti di paternità e maternità spirituale, perfino più forti e di quelli naturali. E’ una paternità che nasce dal dono di sé, da quel farsi servo per amore seguendo l’esempio di Gesù, come abbiamo sentito nel brano del Vangelo di Giovanni che ci è stato proposto. Come Gesù anche Renato oggi dice a noi «Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». Preghiamo perché molti nella nostra chiesa diocesana e in particolare qui a Badia, seguano il suo esempio. Per lui chiediamo al Signore di accoglierlo nella sua casa e di donargli in pienezza quella luce che noi abbiamo visto riflessa in lui durante il suo cammino tra noi.

 

Note biografiche – a cura di Ugo Mariano Brasioli

Ci ha lasciati Renato Galleno, un uomo probo e mite che ha speso la sua vita a favore degli ultimi. Aveva 92 anni ma questo poco importa, perché non sono gli anni che danno valore alla vita ma i valori che ciascuno interpreta a restituire significato all’esistenza. Anche dai non credenti il dottor Renato Galleno era considerato un uomo veramente straordinario: “Il sinonimo dell’accoglienza per tutti gli ultimi e i diseredati di questa terra”.  Il suo apostolato in favore dei nomadi, Sinti o Rom poco importa, e di chiunque bussasse alla sua porta, era animato dalla convinzione evangelica che “ogni uomo è tuo fratello” come amava ripetere. 

Nato a Bagnolo in Piano (Re), da una famiglia di partigiani che gli insegnò l’accoglienza, una laurea in Pedagogia, arrivò a Badia a metà degli anni 70 dove, subentrando all’indimenticato maestro Bigi, guidò per più di quarant’anni l’Istituto per Fanciulli Sinti, fondato nel 1955 da don Dino Torregiani. Prima in via San Rocco, annesso alla Casa della Divina Provvidenza dove arrivò ad ospitare 25 bambini nomadi e, più recentemente con numeri più esigui, nell’ex asilo delle suore in Riviera Balzan, con l’ausilio della fida Maria Grazia Cattaneo, Galleno accoglieva tutti accudendoli come se fossero suoi figli e con l’amore di una vera famiglia.

Renato, fautore di una serena convivenza tra nomadi e residenti, nel 1995 ebbe a dire: “Oggi il nomadismo è in estinzione anche perché Rom e Sinti non possono più viaggiare e sono osteggiati dalla gente, ma noi cerchiamo comunque di essere vicini a questo popolo attraverso i loro meravigliosi bambini”. Galleno sosteneva, contro ogni pregiudizio, che nella cultura zingara sopravviveva il rispetto della famiglia, l’amicizia, il dialogo tra le generazioni. A Badia Polesine, anche grazie a un gruppetto di giovani del Servizio civile, riuscì a connettere in un rapporto positivo quei meravigliosi bambini con quelli di alcune famiglie residenti che accettarono la sfida, “… Assai poco aiutato dalle pubbliche istituzioni”, aggiungeva sommessamente. 

Sempre coerente Galleno era un uomo mite ma schietto, forse proprio per questo, provò l’amarezza dell’ingratitudine e non gli furono risparmiate critiche e qualche delusione che superò sempre con la sua fede. Ciononostante cercò il dialogo e in qualche caso lo trovò, con il Cdp di Agnoletto ospitando i bambini Saharawi (con una storia collettiva di sofferenza) annualmente di passaggio in Polesine e con La Volanda con la quale condivise dal  2009 un suo sito web intitolato “L’avete fatto a me”,  una didascalia che racchiude tutto il suo programma esistenziale cristiano, e diverse altre iniziative.

Molte le testimonianze, ne riportiamo solamente alcune.

Remo Agnoletto commenta: “È stato un grande ospite di questo pianeta, umile e straordinario, ci mancherà ma per me non è morto; ci ha solo lasciati ma vivrà in noi col suo insegnamento”. 

Aldo D’Achille che si sposò in quell’istituto e che è stato a trovarlo solo pochi giorni orsono, interrotto dal pianto riesce solo a dire: “Se ne è andato in silenzio, un po’ come aveva sempre vissuto. Era un angelo che, pur vivendo su questa terra, già apparteneva ad un’altra dimensione, penso solo che l’altro giorno si sia risvegliato nell’abbraccio di Dio”.

Ancor più lapidario il ricordo di Ruggero Broglio, ideatore con Galleno del Gat (Gruppo Accogliamoli Tutti) che con voce rotta dichiara: “È come fosse morto mio padre”.

Commoventi, infine sono le parole di due ex bambini di quell’istituto: Feriz Selimovic che ricorda “… l’amore di una famiglia, la dedizione … con cui Ti prendevi cura di me e tutti quei bambini che tanto amavi … come se fossero tuoi figli ….ci hai preparato alla vita cercando di tirare fuori il meglio di noi. Ci mancherai tanto”. Gipsy Loca invece preferisce ricordare l’ultimo incontro, “… quando hai accarezzato mia figlia e mi hai augurato buona fortuna, ora da lassù proteggici sempre, ti voglio tanto bene, nonno”.