Don Giulio ci ha lasciati il sabato dell’ottava di Pasqua: è una circostanza che ci invita a guardare alla sua morte alla luce della Pasqua. Tutta l’esistenza cristiana infatti è partecipazione mistero pasquale di Cristo: come dice San Paolo «Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione». Uomo di fede, com’era, egli si è preparato a passare con Gesù da questo mondo al Padre, come dimostrano le disposizioni testamentarie molto precise e accurate, in cui dispone tra l’altro che le sue esequie vengano celebrate in questa Chiesa Cattedrale in cui ha ricevuto la prima comunione, la cresima e l’ordinazione sacerdotale.
Anche se la morte è sopraggiunta repentina, non è mancato per lui un cammino doloroso, in cui ha portato con Gesù la croce di una malattia progressiva e invalidante. In questi giorni, ascoltando il ricordo di quanti lo hanno conosciuto nella gioventù e nell’età adulta come una persona sempre attiva e piena di iniziative, ho pensato a quanto deve essergli costato negli ultimi anni essere costretto a muoversi lentamente e a fatica, quasi trascinandosi, e talvolta persino a fare fatica a parlare. Eppure in questi cinque anni in cui ho avuto modo di frequentarlo mai ho sentito una lamentela per il suo stato di salute: con una forza di volontà fuori dal comune guardava avanti, programmava, cercava di fare una vita il più possibile normale. In questo senso mi sembrano significative le testimonianze di coloro che lo hanno conosciuto negli ultimi anni all’interno della Consulta delle Aggregazioni Laicali e della Commissione della Pastorale Sociale e ricordano con riconoscenza il tratto di strada percorso con lui per gli stimoli che hanno ricevuto e per la ricchezza di pensiero e di prospettive che sapeva comunicare. Sono testimonianze che fanno eco a quelle di chi invece ha avuto modo di frequentarlo molti anni fa quando lui era un giovane sacerdote e loro ancora ragazzi: non hanno timore di mettere in evidenza il ruolo decisivo che la sua parola e la sua amicizia hanno avuto nella loro maturazione umana e cristiana.
Don Giulio, nella molteplicità di incarichi ricoperti nel corso della sua vita sacerdotale, ha saputo costruire relazioni e suscitare in chi lo incontrava il desiderio di interrogarsi e di ricercare vie nuove. Prete «dalla fede inquieta e spigolosa in un insieme di tenerezza e generosità», come lo ricorda un suo giovane di Azione Cattolica, si è sempre impegnato per operare una mediazione feconda tra cultura e fede.
Anche se nella sua vita sacerdotale ha avuto compiti importanti, sia in Diocesi che fuori (è stato tra l’altro Presidente Nazionale dell’ANSPI e poi del NOI Associazione, che contribuì a fondare), mi sembra che il frutto più importante del suo ministero sia la traccia profonda lasciata nella vita di chi lo ha incontrato.
E’ questo il dono che lascia alla nostra Chiesa, un dono prezioso perché oggi, più ancora che nel passato, abbiamo bisogno di una fede inquieta, che non si accontenta delle consuetudini e delle tradizioni, ma risponde alla sfide del tempo presente cercando un incontro sempre nuovo con la cultura del nostro tempo per poter annunciare il Vangelo agli uomini di oggi. Abbiamo bisogno di preti che sappiano formare laici maturi e che li incoraggino a lavorare insieme per il bene della Chiesa e della società.
Immagino che don Giulio dal cielo continuerà a guardarci con il suo sorriso arguto e chiederà per noi al Signore la Grazia di non scoraggiarci di fronte alle difficoltà e di saper essere lievito e sale della terra anche in questo tempo difficile.
Cattedrale di Adria – 14 aprile 2021