Anche per l’Epifania, come per il Natale, corriamo il rischio di pensare di trovarci di fronte ad una festa facile da capire. La nostra attenzione si ferma sulla narrazione dei cosiddetti «vangeli dell’infanzia», i primi capitoli dei vangeli di Matteo e di Luca, trascurando che gli evangelisti usando un linguaggio semplice si propongono di trasmetterci un messaggio molto profondo che riguarda l’identità di Gesù e il suo rapporto con la salvezza dell’umanità. Così il racconto dell’adorazione dei magi ci parla della manifestazione di Gesù a tutti i popoli. In questa prospettiva l’Epifania è la prima festa missionaria.
Nel cammino dei Magi l’evangelista Matteo riconosce il compiersi del pellegrinaggio di tutte le genti verso Gerusalemme, così come era stato annunciato dal profeta Isaia: «Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te». È importante leggere insieme il racconto di Matteo e la profezia di Isaia, perché in questo modo possiamo comprendere che la manifestazione di Gesù è per tutti i popoli: come ci ricorda l’apostolo Paolo «le genti sono chiamate in Cristo Gesù a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo».
Per riconoscere la manifestazione del Signore però occorre avere il cuore dei poveri e degli umili: come lo hanno avuto i pastori, ma anche i Magi. Se da un lato infatti sono presentati come dei sapienti e dei re, dall’altro conservano un cuore povero, il cuore di chi sa mettersi in ricerca uscendo dalle proprie convinzioni e pregiudizi; il cuore umile di chi sa adorare e piega le proprie ginocchia davanti alla debolezza di un bambino.
Nell’epifania troviamo delle indicazioni preziose per capire che cosa vuol dire concretamente oggi anche per noi essere missionari. Sentiamo ripetere tante volte che ogni cristiano è missionario, che la chiesa tutta, anche la parrocchia, deve essere missionaria. Sono espressioni che rischiano di restare slogan privi di contenuto. La festa dell’Epifania ci dà delle indicazioni preziose per capire che cosa significhi oggi essere missionari.
In primo luogo la missione non è qualcosa di assimilabile alla pubblicità o alla propaganda. Non si tratta di vendere nel modo migliore un prodotto conquistando l’attenzione delle persone e convincendole. La missione piuttosto è far emergere una domanda profonda che c’è nel cuore degli uomini: i Magi, in questo senso, sono un esempio. Si mettono in cammino perché hanno nel cuore il desiderio di conoscere, di vedere. Seguendo questo desiderio incontrano la stella e la seguono. Essere missionari allora vuol dire prima di tutto incontrare il desiderio di Dio che c’è nel cuore di ogni persona umana. Per questo è importante saper farsi vicini, mettersi in ascolto, creare le condizioni perché le persone possano aprirsi nella loro interiorità più profonda. È a quel punto che diventa possibile accendere (o riaccendere) la luce. Come la stella possiamo condurre passo passo le persone a incontrare Gesù e a riconoscere in lui il Salvatore. La missione è un’opera lunga e paziente: facciamo fatica ad accettarlo, perché noi vorremmo avere subito dei riscontri e ci scoraggiamo perché non vediamo i risultati. Invece è necessario saper attendere e metterci a fianco delle persone tenendo aperto un dialogo e un confronto rispettoso ma allo stesso tempo coraggioso, capace di dire e di mostrare la nostra fede.
Chiediamo in questa festa dell’Epifania la grazia di fare anche noi l’esperienza di accompagnare i nostri fratelli all’incontro con il Signore Gesù, come fece la stella con i magi. Sarà l’occasione anche per noi per andare nuovamente a Betlemme e riconoscere in Gesù il nostro Salvatore.
Adria, Cattedrale; Rovigo, Duomo-Concattedrale