Siamo cristiani non per noi stessi, per ottenere un benessere spirituale o per raggiungere la nostra salvezza individuale: siamo cristiani per la missione. Gesù infatti affida ai discepoli di continuare la sua missione, che è quella di far conoscere agli uomini un Dio che è Padre amoroso. Usando un’espressione cara a Papa Francesco possiamo dire che essere cristiani comporta essere «discepoli missionari». E’ questo il messaggio del cap. 10 del Vangelo di Matteo, di cui in questa domenica ascoltiamo la conclusione.
Gesù presenta ai discepoli le esigenze impegnative della missione: il discepolo deve aver chiara la priorità da dare all’amore per il Signore, anche rispetto agli affetti più cari e deve essere disposto a donare la vita, come ha fatto Gesù. Il Maestro però mette davanti ai discepoli anche la gioia di essere accolti: la missione non è fatta solo di persecuzioni, ma anche di accoglienza. Mi sembra importante sottolineare questo aspetto: nonostante le difficoltà che l’annuncio del Vangelo incontra, c’è sempre qualcuno disposto ad accogliere la Parola e chi l’annuncia. Questa accoglienza è qualcosa di grande: non è solo accoglienza di uomini, perché chi accoglie i discepoli accoglie Gesù stesso e il Padre che lo ha mandato. Nella mentalità del tempo di Gesù, infatti, l’inviato comunica la presenza di chi lo ha mandato. Come Gesù comunica la presenza del Padre che è nei cieli, così i discepoli comunicano al mondo la presenza di Gesù.
L’accoglienza degli uomini di Dio è un tema che ricorre frequentemente anche nell’Antico Testamento: la prima lettura ci parla dell’accoglienza riservata al profeta Eliseo da una donna di Sunem: un’accoglienza delicata e attenta, che prepara per il profeta tutto quello di cui ha bisogno per essere a suo agio. Lo cogliamo dai particolari con cui viene preparata la stanza: «Prepariamogli una piccola camera al piano di sopra, in muratura, mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e una lampada, sì che venendo da noi vi si possa ritirare».
L’accoglienza infatti è fatta di gesti semplici: Gesù dice che anche dare un bicchiere di acqua fresca merita una grande ricompensa, una ricompensa che non è solo umana ma è la stessa che è riservata agli uomini di Dio, la vita eterna.
Queste considerazioni sulla parola della liturgia odierna, ci introducono a fare memoria di don Antonio Donà e don Luciano Candiollo, morti durante l’emergenza sanitaria e per i quali non abbiamo potuto celebrare la messa esequiale. La vita di entrambi, sia pure con modalità diverse, è stata segnata dalla dimensione missionaria: don Antonio [di cui oggi ricorre il 50° di ordinazione sacerdotale] è stato missionario «fidei donum» per sette anni in Brasile nella Diocesi di Caetetè, sette anni che hanno dato l’impronta anche a tutto il percorso successivo della sua vita di prete, don Luciano, invece, missionario tra gli emigranti italiani in Germania per 41anni. Sia don Antonio che don Luciano hanno sperimentato le difficoltà della missione: in particolare di don Antonio si sa che per la sua attività a favore dei poveri fu avversato da un potente del luogo e questa ostilità sarebbe stato uno dei motivi del suo ritorno in Diocesi. Entrambi però hanno provato anche la gioia di essere accolti dalle persone e dalle comunità che hanno servito, sia in terra di missione sia qui a Rovigo. L’accoglienza che hanno ricevuto nasceva dal loro modo di rapportarsi con le persone: un modo ricco di umanità e di bontà, di cui è stata data ampia attestazione in occasione della loro morte. La loro umanità si manifestava attraverso gesti semplici che manifestavano un cuore attento e sensibile. A loro applichiamo la parola del Vangelo che abbiamo ascoltato questa sera. «Chi avrà dato anche un solo bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa». Custodire la loro memoria per noi che li abbiamo conosciuti ci aiuterà ad essere discepoli missionari, capaci di farci accogliere per la bontà e l’umanità con cui accostiamo le persone. Non dimentichiamo mai che il Vangelo è un messaggio d’amore e non può essere trasmesso al di fuori di un atteggiamento di accoglienza. Accogliere vuol dire fare spazio all’altro nella nostra vita: solo così il Vangelo po’ trovare spazio nella vita dei nostri fratelli.