DOMENICA VI DI PASQUA

"Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre"
17-05-2020

Anche questa sera, come ho fatto in tutte le celebrazioni di questo periodo, a partire dal mercoledì delle ceneri, cercherò nella Parola che abbiamo ascoltato delle risposte a qualcuna delle tante domande, che la situazione inedita provocata dalla pandemia suscita in noi.

Il brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci presenta la promessa del dono dello Spirito Santo che Gesù fa ai discepoli durante l’ultima cena. Lo Spirito è  l’«altro Paraclito», che li proteggerà nella lotta che dovranno sostenere in un mondo ostile. Il brano della prima lettera di Pietro (seconda lettura) ci mostra come lo Spirito guida i cristiani nel mondo sulla via della mitezza e del rispetto degli «altri», i non credenti. Un esempio concreto di come lo Spirito è l’anima della missione della Chiesa ci viene presentato infine dalla prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli.

Meditando su questi brani della Scrittura mi sono orientato a riflettere su una questione che è stata vissuta in modo molto forte in questi ultimi mesi, a partire dalla sospensione – sofferta – delle celebrazioni con il popolo, un fatto senza precedenti, motivato dalla necessità di prevenire il contagio. Non entro in questa sede nella discussione circa le modalità e i tempi di tale decisione sia da parte dell’autorità civile che di quella ecclesiastica. Mi limito a registrare la percezione diffusa di una perdita del ruolo pubblico della chiesa e lo sconcerto per vedere altre dimensioni della vita (in particolare quella economica e lavorativa) godere di maggiore considerazione nell’opinione pubblica e pure nelle valutazioni di chi ci governa. Ci siamo sentiti in difficoltà dalla constatazione di non essere più garantiti nella società civile In altri termini come comunità cristiana ci siamo scoperti «minoranza»: pensavamo di vivere in un paese cristiano, ma ci siamo accorti che le radici cristiane sono state perdute o per lo meno non riescono più ad avere un rilievo sociale condiviso.

La Parola che abbiamo ascoltato ci invita innanzitutto a metterci in una prospettiva «spirituale», che non vuol dire «disincarnata», ma guardare anche questa vicenda dal punto di vista dello Spirito, che ci è stato donato. La ricchezza della Chiesa e la forza della sua testimonianza non sta innanzitutto nei mezzi umani di cui dispone e neppure nel riconoscimento di un ruolo pubblico, che pure in certa misura sono utili e necessari. La vera ricchezza della Chiesa è nello Spirito che Gesù ci ha donato attraverso la sua morte e risurrezione. Gesù avverte i discepoli che lo Spirito è altro rispetto al mondo: «lo Spirito della Verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce». E’ attraverso lo Spirito che noi viviamo uniti a Gesù e al Padre: il dono dello Spirito Santo è proprio questa manifestazione di Gesù e del Padre che si fa presenza interiore, avvolgendoci in una spirale di amore: l’amore accoglie il venire di Dio in noi e il venire di Dio in noi accresce la nostra capacità di amare, in un dinamismo inesauribile e continuo. E’ questo il nucleo, potremmo dire il «motore», della vita e della missione della Chiesa. Tutto il resto dipende proprio da questa comunione profonda con Gesù e il Padre nello Spirito Santo. E’ questa l’esperienza della prima comunità cristiana narrata dal libro degli Atti degli Apostoli. Nell’ episodio che abbiamo ascoltato, vediamo come la chiesa delle origini ha affrontato una situazione di ostilità. Il diacono Filippo, infatti, aveva dovuto lasciare Gerusalemme per la persecuzione che si era scatenata dopo la persecuzione seguita al martirio di Stefano. Proprio questa situazione di difficoltà è divenuta un’occasione per annunciare la Parola: nel caso di Filippo agli abitanti della Samaria. Filippo non solo “predica il Cristo”, ma compie dei “segni” che, come quelli di Gesù, sono segni di liberazione e di guarigione. L’effetto dei segni compiuti da Filippo è «una grande gioia in quella città». Questa capacità eroica di rispondere alla difficoltà è frutto dello Spirito, che è il vero protagonista della missione della chiesa e che sorprende gli stessi missionari ed evangelizzatori.

La prima lettera di Pietro ci offre ulteriori spunti, mostrandoci lo stile con cui vivere da cristiani in una condizione di «minoranza». Questo testo infatti è rivolto ad una comunità che viveva l’ostilità della società del tempo e che, addirittura subiva la persecuzione. Ci aspetteremmo toni forti, lamentele, uno spirito di contrapposizione e invece l’Apostolo indica come metodo di testimonianza il «rendere conto della speranza che è in voi» e aggiunge «con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento in ci si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo». «Rendere conto» è qualcosa di diverso dal mettersi a discutere pretendendo di avere ragione, dall’imporre dei principi sottraendosi al dialogo con chi la pensa diversamente. Vuol dire piuttosto suscitare delle domande nell’altro con la prospettiva di una vita diversa che traspare dai nostri comportamenti e dalle nostre parole e davanti a queste domande esprimere il fondamento da cui dipende la nostra speranza, ovvero la fede in Cristo Signore. Il cristiano anche nella persecuzione non considera la sua fede una pretesa, quasi volesse imporla agli altri. E’ proprio la mitezza e la retta intenzione che alla fine attesta la verità della fede cristiana e confonde chi l’avversa.

Credo che questi insegnamenti siano quanto mai attuali oggi, per vivere da cristiani questo momento storico evitando da un lato il rischio del silenzio e dell’insignificanza, dall’altro quello di porsi con orgoglio e arroganza e di non riuscire così a entrare in dialogo con gli «altri», soprattutto con chi è alla ricerca di trovare un senso e una speranza per la propria vita.

Vorrei concludere con una citazione del card. Hollerich, Arcivescovo del Lussemburgo e Presidente della Commissione degli Episcopati dell’Unione europea, il quale, in una recente intervista, dopo aver detto che il cristianesimo, dopo l’esperienza della pandemia, si ritroverà ancor più minoranza nel continente europeo e per questo avrà bisogno di maturare un’identità forte, aperta al dialogo e al rispetto verso chi non crede o professa un’altra fede, conclude così: «Passeremo definitivamente da un cattolicesimo per abitudine ad un cattolicesimo per convinzione. Saremo un piccolo gregge, più fervente, chiamato a vivere la realtà di oggi con spirito missionario per essere davvero autentici. Altrimenti nessuno più crederà in noi».