La situazione inedita che stiamo vivendo, anche da un punto di vista religioso, ci provoca a ripensare la nostra vita cristiana e a cercare ciò che è essenziale. In particolare l’impossibilità di riunirci fisicamente insieme per celebrare l’eucaristia ci spinge a comprendere ciò che sta oltre la dimensione sacramentale e costituisce il nucleo più profondo della nostra fede.
Le letture che abbiamo ascoltato mettono al centro il nostro rapporto con il Cristo Risorto. Nel brano del Vangelo di Giovanni Gesù si presenta come la Via, la Verità e la Vita. Pietro, nella seconda lettura, ci insegna che il Signore Gesù è la pietra viva a cui dobbiamo stringerci per diventare anche noi pietre vive, membri di un popolo di sacerdoti, re e profeti.
Il nostro rapporto con il Signore è segnato da un lato da un’assenza che però è anche una presenza. Spiego questa affermazione paradossale. Noi non abbiamo la possibilità di relazionarci con Lui come hanno fatto i discepoli durante la sua vita terrena, Lui dopo la sua Pasqua infatti vive con il Padre. Questa «assenza» è accompagnata da una promessa: «Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi»: il termine della nostra vita è nel Padre (vi è un’altra dimore che ci aspetta), ma già da adesso possiamo attraverso la fede in Gesù Cristo entrare nella relazione con il Padre. Il ritorno di Gesù non è solo alla fine della nostra esistenza terrena, è un modo diverso di presenza. Più avanti sempre nel cap. 14 di Giovanni Gesù dirà: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». Nella fede in Gesù noi fin d’ora possiamo diventare la dimora del Padre. Gesù è la via non solo perché ci indica la strada verso una meta che raggiungeremo nel futuro, ma anche perché conduce il mistero di Dio a dimorare in noi: potremmo dire che è via nelle due direzioni: da questo mondo al padre, ma anche dal Padre verso di noi. Di conseguenza Gesù è anche la Verità e la Vita: è Verità perché ci rivela che il mistero di Dio è amore, è Vita perché ci dona di vivere stabilmente in questo amore.
Questa affermazione di Gesù ci permette di capire che il nostro culto a Dio è efficace nella misura in cui esprime la nostra unione con Cristo, cioè partecipa del suo rapporto con il Padre. Sappiamo che Gesù ha vissuto il rapporto con il Padre accogliendo la Passione e la Croce, offrendo tutto se stesso. E’ stata la sua vita che è diventata culto a Dio, a differenza di quanto avveniva nella religione ebraica dove si offrivano cose e animali, dove il rito poteva anche non coinvolgere la vita (pensiamo al modo di intendere la religione dei farisei). Possiamo allora comprendere quanto dice Pietro esortandoci a diventare «pietre vive» per essere «costruiti come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo». Le espressioni «sacrificio spirituale» e «sacerdozio santo» indicano l’offerta della vita: noi entriamo in rapporto con il Padre fin d’ora nella misura in cui sappiamo donare a lui il nostro essere, la nostra volontà, le nostre sofferenze e i nostri progetti. In questo modo diventiamo le «pietre vive» di quella casa («edificio spirituale») in cui Dio Padre si fa incontrare dagli uomini. Questa è una novità assoluta nella storia dell’umanità: tutte le religioni cercano di aprire una via tra l’uomo e Dio, ma nessuna arriva fino a questo punto: Dio che viene ad abitare con gli uomini, che si fa visibile a loro, che chiede a loro di renderlo presente nell’umanità.
Questa novità ha conseguenze molto importanti anche riguardo al significato del culto: i riti non hanno valore per se stessi, ma come espressione del «culto spirituale», l’offerta della vita. In altri termini il ulto non è separato dalla vita, ma è la vita che diventa offerta, sacrificio, preghiera. Possiamo chiederci se in questo tempo in cui la dimensione rituale è stata ridotta al minimo o ci è stata impedita, abbiamo vissuto quel «culto spirituale» che non ci può mai essere impedito. Anche se non abbiamo potuto celebrare, abbiamo potuto offrire al Signore le fatiche e le tribolazioni di questa situazione difficile. Abbiamo potuto decidere di amare i fratelli sull’esempio di Gesù, anche a costo di rinunce e mettendo in conto rischi per la nostra salute. Abbiamo avuto la possibilità di esercitare la pazienza, come disponibilità a soffrire per il bene dei fratelli. Tutto questo è il «culto spirituale» che Gesù ci ha insegnato ad offrire al Padre, un culto senza il quale la liturgia cristiana sarebbe un vuoto simulacro.
La gioia di poter cominciare presto a ritrovarci a celebrare l’eucaristia (anche se con una porzione limitata del popolo di Dio e con modalità molto particolari date le condizioni di carattere igienico sanitario) non deve farci perdere di vista il fondamento del culto cristiano, che è la partecipazione al sacrificio che Cristo ha fatto della sua vita. Per questo prima del tempio costruito con pietre e mattoni, viene l’edificio spirituale costruito cercando giorno per giorno di aderire a Gesù mettendo in pratica il suo Vangelo nella vita ordinaria, fatta di lavoro, di famiglia, di relazioni umane. Solo così potremo essere «quel popolo che Dio si è acquistato, perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa».