Spesso in questi giorni mi è stato chiesto quando potremo tornare a celebrare insieme l’eucaristia. Non intendo rispondere qui a questa domanda pur legittima e su cui è in corso un confronto tra la chiesa italiana e il governo in vista della cosiddetta «fase 2» dell’emergenza sanitaria. Vorrei solo evidenziare come questa domanda manifesti un desiderio dell’eucaristia, un desiderio che va approfondito, arricchito di consapevolezza e fatto maturare. Sarebbe interessante, al di là dei sentimenti che proviamo di fronte a questo prolungato «digiuno» eucaristico, darci delle motivazioni più profonde di ordine oggettivo, teologico, motivazioni cioè basate su ciò che l’eucaristia è secondo la volontà del Signore, che l’ha istituita e secondo l’insegnamento della Chiesa, a cui è stata affidata. In questa prospettiva vorrei commentare con voi questa sera il brano del cap. 24 del vangelo di Luca, il racconto dei discepoli di Emmaus, che già ci è stato proposto nella messa della sera del giorno di Pasqua. In quella occasione ho cercato di mostrare come il passaggio dei due discepoli dalla delusione alla fede nel Risorto è il cammino che ci è chiesto di fare in questo tempo segnato dalla pandemia, evidenziando il ruolo decisivo dell’ascolto della Parola per incontrare il Signore Gesù. Questa sera vorrei fermarmi invece sulla conclusione del racconto, là dove si dice che i due discepoli riconobbero Gesù nel gesto dello spezzare il pane e, dopo che fu sottratto alla loro vista, ritornarono a Gerusalemme per riunirsi con gli altri discepoli.
Il percorso di fede dei due discepoli arriva al suo culmine quando invitano il viandante sconosciuto a fermarsi con loro e questi ripete le parole e i gesti dell’ultima cena: prese il pane, lo spezzò, lo diede loro. Per conoscere Gesù non basta l’ascolto delle Scritture, occorre rivivere la sua morte e la sua risurrezione presente nel segno del pane spezzato.
Gesù sparisce dalla loro vista, ma il suo corpo, divenuto invisibile, rimane con loro nel segno del pane spezzato e condiviso. Ormai è questa la modalità in cui si fa presente il Risorto: presenza invisibile e nascosta, ma non meno reale di quella visibile e terrena, anzi ancora più profonda e vicina. È una presenza che fa ardere il cuore e ne scioglie le durezze, che ridona luce al volto duro e triste, che mette ali ai piedi per riprendere il cammino.
Gesù risorto, che ha condiviso la gioia della mensa con i discepoli dopo la risurrezione, si siede a mensa anche oggi con quanti lo invitano a restare, a fermarsi con loro, come hanno fatto i due di Emmaus. In altri termini la fede nella Pasqua come incontro con Gesù risorto, ha bisogno anche della dimensione sacramentale. Luca scrivendo il suo Vangelo aveva davanti l’esperienza delle prime comunità cristiane, da lui descritte nel libro degli Atti degli Apostoli, in cui, nel contesto di un pasto fraterno, l’ascolto della Parola di Dio (le Scritture dell’Anrico Testamento e le parole di Gesù, ricordate dagli apostoli) culminava nel gesto dello spezzare il pane, in obbedienza al comando di Gesù nell’ultima cena: «Fate questo in memoria di me». Anche nel racconto dei discepoli di Emmaus Luca vuole farci capire che per riconoscere Gesù ci vogliono sia l’ascolto della Parola che lo spezzare il pane assieme. Voglio sottolineare la parola «assieme», che indica lo stare fisicamente nello stesso luogo ma ancora di più riconoscersi parte di una comunità, come elemento indispensabile per vivere il nostro rapporto con il Cristo Risorto. Ne abbiamo conferma considerando la conclusione del racconto: il cammino di fede dei discepoli non si conclude a Emmaus, i due infatti nonostante l’ora, ripartono per tornare a Gerusalemme e riunirsi al gruppo degli apostoli. Non basta la comprensione delle Scritture e neppure il gesto dello spezzare il pane, la fede nel Signore risorto è completa quando può confrontarsi ed esprimersi nella professione di fede condivisa con i discepoli riuniti attorno ai discepoli.
A questo punto possiamo tornare alla domanda iniziale, che però dovremmo modificare: non solo «quando» ma anche «come» riprenderemo a celebrare insieme l’eucaristia. In fondo questo periodo di «digiuno eucaristico» ci ha in qualche modo fatto rivivere il percorso dei due discepoli di Emmaus: come loro abbiamo sperimentato la lontananza e l’abbandono. Per questo sentiamo il desiderio di poter vivere l’eucaristia nella sua pienezza, perché sappiamo che è nello spezzare il pane che Gesù si fa conoscere. Questo desiderio però, per essere maturo, deve accompagnarsi anche con l’impegno di ritrovare la comunità dei discepoli, tornando anche noi ai cenacoli delle nostre parrocchie. In questo forse si tratta non solo di ripartire dove ci eravamo lasciati, ma di cominciare di nuovo un’esperienza comunitaria con la libertà e la novità di una vita vissuta secondo il Vangelo.