Probabilmente anche voi questa sera vi trovate in difficoltà nel clima di gioia che questa celebrazione pasquale ci propone. È una gioia che appare stonata con quanto sta accadendo nel mondo. È una gioia che ci parla della vittoria della vita sulla morte, dell’amore sulla violenza e l’ingiustizia, ma il mondo va da un’altra parte. Credo che sia importante partire da questo stato d’animo, che immagino presente in molti di voi, per provare a scoprire il significato più vero e profondo della Pasqua. Per sperimentare la gioia della Pasqua infatti dobbiamo renderci disponibili ad una conversione, in particolare dobbiamo far morire il modo troppo umano di guardare alla vicenda di Gesù.
«Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele»: queste parole dei due discepoli di Emmaus esprimono bene la tentazione dei cristiani di ogni tempo di raffigurare Cristo a propria immagine e somiglianza, di proiettare su di lui i propri desideri e i propri progetti, di «addomesticarlo», finendo per farne un idolo. La gioia pasquale invece nasce accanto ad una tomba vuota, porta i segni di un’assenza e di un vuoto che le impediranno di essere trionfale e arrogante. La gioia della Pasqua è attraversata dalla dinamica di morte e di risurrezione e non può non farsi carico del vuoto di speranza che affligge tanta parte dell’umanità.
Per vivere la Pasqua e fare nostra la gioia e la speranza che sgorgano dalla risurrezione da morte del Signore Gesù, abbiamo bisogno di ripercorrere l’itinerario spirituale dei due discepoli di Emmaus. Loro si dimostrano incapaci di riconoscere il Risorto, perché accecati dalle loro idee e dalle loro false sicurezze. Anche noi dobbiamo chiederci se la nostra freddezza e il nostro scarso impegno non vengono dal fatto che siamo chiusi nelle nostre idee su Gesù, il Vangelo, la Chiesa e quindi non sappiamo più incontrarlo come una persona viva che cammina con noi.
Il racconto del cap. 24 di Luca ci indica una prima via per questa conversione interiore che rende possibile riconoscere il Signore: è la via delle Scritture. Il viandante sconosciuto entra in dialogo con i due discepoli e accogliendo i loro dubbi e le loro delusioni li porta a riflettere sulla Parola di Dio e a mostrare come in questa Parola ci sia la risposta che cercano. Essi sentono ardere il cuore, quel cuore che si era come spento per la delusione e lo smarrimento. È una indicazione preziosa anche per noi: solo la frequentazione della Parola di Dio, il suo ascolto attento e in dialogo con la vita, può riscaldarci il cuore divenuto freddo e indifferente.
C’è poi una seconda via che il viandante sconosciuto propone ai due discepoli: è il gesto dello spezzare il pane nell’intimità di una cena. Anche noi abbiamo bisogno di tornare a vivere la memoria della cena del Signore: è importante dirlo oggi dopo due anni in cui la pandemia ha disperso le comunità cristiane e ha tenuto molti lontani dalla celebrazione dell’eucaristia. La fede non può mantenersi viva senza partecipare all’eucaristia: non riusciremo a riconoscere il Signore vivo e presente accanto a noi se rimaniamo lontani dal memoriale della sua morte e risurrezione.
I giorni difficili che viviamo rendono quanto mai necessaria la fede, non una fede qualsiasi, ma la fede pasquale, la fede in Gesù Cristo morto e risorto. Questa fede è frutto di un cammino, non si improvvisa: decidiamo questa sera di metterci anche noi di nuovo in cammino per incontrare il Risorto: Lui è la nostra speranza e la nostra salvezza, Lui è la speranza e la salvezza di questo mondo tribolato e smarrito.