La giornata di oggi è un invito a fermarsi per un ricordo di tante persone che abbiamo incontrato nella nostra vita e che non sono più tra noi. Il loro ricordo ci spinge a guardare in faccia la realtà oscura e dolorosa della morte: la morte degli altri, ma anche la nostra morte. E’ questo un pensiero da cui volentieri stiamo lontano anche se poi ci aggredisce attraverso l’esperienza della morte di persone che ci sono care. In questi mesi poi l’epidemia di covid 19 ha riproposto in modo drammatico il tema della morte non solo ai singoli, ma all’intera società. E’ stato detto (Edgar Morin) che tra le lezioni che il virus ci ha dato ce n’è una che riguarda il rapporto con la nostra morte: lo vogliamo o no, non possiamo non fare i conti con la realtà della morte, anzi, se vogliamo vivere in pienezza dobbiamo «esercitarci a morire». Dice Sant’Ambrogio: «Esercitiamoci perciò quotidianamente a morire e alimentiamo in noi una sincera disponibilità alla morte. (…) Così, accettando di esprimere già ora nelle nostre vite il simbolo della morte, non subiremo poi la morte come castigo».
Per i credenti il pensiero sulla morte si collega strettamente alla fede in Dio: Dio, infatti, è il Vivente e chi crede in Lui intuisce la possibilità di ricevere una vita più forte della morte, una vita oltre la morte. La rivelazione biblica ci fa conoscere un Dio che offre agli uomini la sua Alleanza: all’interno di questa esperienza di Alleanza matura la consapevolezza che il rapporto del credente con Dio non può essere interrotto dalla morte. Ne è testimonianza il grido di Giobbe, che abbiamo sentito nella prima lettura: «Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro». L’invocazione di Giobbe di una comunione con Dio dopo la morte trova eco nella promessa di Gesù di risuscitare coloro che il Padre gli ha affidato: lo abbiamo sentito nel brano del vangelo di Giovanni. La stessa morte di Gesù è causa della vittoria sul peccato e sulla morte, come ci ha detto Paolo nella seconda lettura.
Gesù Cristo ci mostra il volto di un Dio amante della vita: la sua volontà è di donare agli uomini non solo la continuazione dell’esistenza terrena, ma una pienezza di vita che passa attraverso la risurrezione: «Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno». Per godere di questa pienezza di vita (la «vita eterna») è necessario credere in Gesù Cristo, Figlio di Dio: «Questa è infatti la volontà del padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna: e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
La fede può illuminare allora il mistero della morte: fa pensare constatare come proprio le realtà ultime, i cosiddetti «nuovissimi» (morte, giudizio, paradiso e inferno) siano tra le verità di fede meno sentite oggi anche da chi si professa cattolico: «Il declino maggiore – negli ultimi due decenni – l’hanno subito le verità circa le “cose nuove” che attendono gli esseri umani alla fine del tempo storico. Nell’arco degli ultimi vent’anni la credenza nell’ambito dei novissimi che ha perso più appeal nel mondo cattolico è quella del paradiso (…), ma anche l’idea che vi sia un al di là, che non tutto abbia fine con la vita terrena è sempre più oggetto di dubbi» (F. Garelli, Gente di poca fede, Bologna 2020, pp. 44-45).
Che cosa resta della nostra fede se non crediamo nella vita eterna? E’ una domanda che non solo dobbiamo porre a noi stessi, ma che va posta al centro della nostra azione pastorale e della nostra testimonianza. La fede in Gesù Cristo morto e risorto ci apre una prospettiva che va oltre questa vita. In questa prospettiva anche il ricordo dei defunti acquista una dimensione diversa: in Dio anche loro vivono e continuano ad essere uniti a noi da un vincolo di grazia e di amore, che si esprime principalmente nella preghiera di suffragio.
Il ricordo dei nostri defunti in questo giorno a loro dedicato sia allora non soltanto espressione di affetto e di umana pietà, ma diventi professione autentica della nostra fede di cristiani.