La giornata di oggi, dedicata alla commemorazione dei fedeli defunti, risponde a un’esigenza profondamente radicata nella nostra umanità: non possiamo dimenticare quanti, dopo essere vissuti con noi, ci hanno lasciato perché hanno dovuto attraversare la soglia oscura della morte. Ricordarli è un dovere di riconoscenza ed è bello che lo facciamo non solo come singoli individui, ma anche come comunità. In questo senso è significativa la partecipazione a questo rito di suffragio delle autorità civili, innanzitutto del Sindaco che rappresenta tutta la cittadinanza di Rovigo. Abbiamo bisogno di ricordare i nostri cari defunti per non rischiare di perdere una dimensione fondamentale della nostra umanità. Questo proposito vorrei segnalare con preoccupazione come si sita diffondendo la pratica di evitare qualsiasi rito, non solo religioso ma anche laico, in occasione della morte di un familiare: si stanno diffondendo infatti i casi in cui la salma viene avviata alla sepoltura o alla cremazione non solo senza un momento di preghiera, ma neppure di saluto e di congedo. La prassi della cremazione, poi, rende possibile la conservazione delle ceneri al di fuori dei cimiteri e ciò comporta l’impossibilità di una memoria comunitaria e un’ulteriore privatizzazione della morte.
Come cristiani siamo chiamati a ricordare i nostri defunti alla luce della fede nel Signore Risorto. Non è cosa scontata, perché anche per noi che veniamo da una tradizione cristiana non è facile: l’articolo del Credo «credo la vita eterna» rimane per i più una formula vuota di significato. Osservo che questa difficoltà si evidenzia anche nel modo in cui si vive il rapporto con i defunti, basandolo più su aspetti molto materiali, oserei dire fisici, che sulla comunione in Dio con i nostri cari vissuta nella preghiera e nella partecipazione all’eucaristia. Eppure solo la fede ha una risposta all’enigma della morte. Lo abbiamo sentito nelle tre letture bibliche che ci sono state proposte.
Per la prima lettura, tratta dall’Anrico Testamento, la vita oltre la morte si fonda sulla comunione piena con Dio: «Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio». Anche se la loro morte sembra un fallimento, essi sono nella pace, perché il loro percorso terreno è già stato segnato dalla presenza di Dio e quindi non può che portarli a vivere in Dio.
Nella scia del messaggio del Libro della Sapienza possiamo leggere anche il brano dell’Apocalisse nella seconda lettura, in cui si parla di «nuovi cieli e nuova terra», al centro dei quali sta la nuova Gerusalemme, la casa di Dio con gli uomini. Questa dimora è data in dono da Dio a quanti credono in Lui e nel suo Figlio Gesù, il Crocifisso Risorto.
La pagina del Vangelo ci presenta infine la via per raggiungere la vita che non ha fine: le beatitudini sono il progetto del Regno di Dio. La promessa di Dio di una vita beata è rivolta a chi, proprio attraverso la povertà, la sofferenza, la persecuzione, si affida a Dio ed entra nella logica del suo Regno. E’ seguendo questo programma, umanamente scandaloso, che possiamo ricevere l’«eredità della terra» ed essere ammessi alla visione di Dio».
A questo punto vorrei lasciare la parola ad un testimone, che mi ha colpito molto, Sammy Basso, un giovane affetto da una malattia rara che provoca un invecchiamento precoce e che comporta una serie di gravi problemi. Ai suoi funerali è stato letto un suo testo preparato proprio per i suoi funerali, in cui spiega ai suoi amici il suo modo di guardare alla morte e il modo in cui desidera essere ricordato.
«Vi voglio parlare schiettamente del passo che io ho già compiuto e che tutti devono prima o poi compiere: la morte.
Anche a solo dirne il nome, a volte, la pelle rabbrividisce. Eppure è una cosa naturale, la cosa più naturale al mondo. Se vogliamo usare un paradosso la morte è la cosa più naturale della vita. Eppure ci fa paura! È normale, non c’è niente di male, anche Gesù ha avuto paura.
È la paura dell’ignoto, perché non possiamo dire di averne avuto esperienza in passato. Pensiamo però alla morte in modo positivo: se lei non ci fosse probabilmente non concluderemo niente nella nostra vita, perché tanto, c’è sempre un domani. La morte invece ci fa sapere che non c’è sempre un domani, che se vogliamo fare qualcosa, il momento giusto è “ora”!
Per un Cristiano però la morte è anche altro! Da quando Gesù è morto sulla croce, come sacrificio per tutti i nostri peccati, la morte è l’unico modo per vivere realmente, è l’unico modo per tornare finalmente alla casa del Padre, è l’unico modo per vedere finalmente il Suo Volto. E da Cristiano ho affrontato la morte. Non volevo morire, non ero pronto per morire, ma ero preparato.
L’unica cosa che mi dà malinconia è non poter esserci per vedere il mondo che cambia e che va avanti. Per il resto però, spero di essere stato in grado, nell’ultimo mio momento, di veder la morte come la vedeva San Francesco, le cui parole mi hanno accompagnato tutta la vita. Spero di essere riuscito anch’io ad accogliere la morte come “Sorella Morte”, dalla quale nessun vivente può scappare»