Migrazioni e migranti come fenomeno epocale e incontro di persone e popoli: è stato questo il tema, affrontato da più versanti, della “due giorni” di confronto e approfondimento che ha impegnato i Vescovi del Triveneto insieme a 3 rappresentanti di ciascuna Diocesi della Regione – sacerdoti, diaconi e fedeli laici -, a Cavallino (Venezia) presso la Casa diocesana di spiritualità S. Maria Assunta. “L’altro è sempre colto insieme come una risorsa e come una minaccia – ha affermato mons. Enrico Trevisi, Vescovo di Trieste, nell’introdurre i lavori -. Siamo legati all’altro. Gli altri possono essere fratelli oppure amici oppure sconosciuti, siamo in una stretta interdipendenza eppure gli altri ben presto risultano un legame che riduce la nostra aspirazione di autonomia, indipendenza e libertà. L’incontro, il confronto, il conflitto, l’integrazione sono sempre stati un problema con esiti diversificati e contraddittori. Ma dalla paura si può passare ad un ripensamento della propria identità, da raccontare e testimoniare allo straniero che arriva. Allo straniero va raccontato e testimoniato il Paese in cui si trova con i suoi valori condivisi. Bisogna ripensare la propria identità e saperla raccontare ai nuovi arrivati come anche ai giovani che, per certi versi, sembrano stranieri alla nostra cultura di provenienza”.
Sulle dimensioni del fenomeno – che in Italia e nelle nostre regioni si intreccia con il progressivo calo demografico e l’invecchiamento della popolazione – e su come governare le migrazioni è intervenuto il prof. Stefano Allievi (sociologo dell’Università di Padova) che ha indicato alcune linee che dovrebbero essere opportunamente perseguite per affrontare seriamente la questione: “O sapremo ricreare canali di immigrazione regolare, che oggi non esistono più, o continueremo a nuotare nel mare dei problemi dell’immigrazione irregolare. E’ giusto controllare i confini, è compito dello Stato ed è importante sapere chi entra e chi esce, ma questo non significa costruire muri. Bisogna saper ascoltare le paure, parlare con gli altri, ascoltare gli altri e saper raccontare agli italiani quello che veramente succede. E si tratta anche di uscire dalla distinzione in categorie, tra richiedenti asilo e migranti economici (di cui c’è molto bisogno). L’accoglienza va governata e non ci si può limitare ad essa, ci vogliono politiche di integrazione – dall’imparare la lingua all’inserimento nel tessuto culturale di un Paese, dal fornire strumenti all’offrire riconoscimenti importanti anche sul piano simbolico (ad esempio la cittadinanza alle seconde generazioni) – e bisogna essere disposti a spendere risorse per questo; non si possono avere accoglienza ed integrazione a costo zero. Più integrazione significa più sicurezza”. Ed ha, infine, ribadito l’importanza che la Chiesa mantiene e può avere sempre più, per la sua autorevolezza, nell’incidere sul dibattito pubblico e nei rapporti con le realtà istituzionali e la politica.
Don Antonio Bortuzzo (biblista della Diocesi di Trieste) ha, quindi, ripercorso parole e racconti della Sacra Scrittura da cui emergono il rapporto con il “forestiero”, le ragioni e le riletture in chiave teologica del migrare di popoli, famiglie (compresa la Sacra Famiglia) e persone nella storia, invitando a rivedere – alla luce delle pagine bibliche e con spirito di discernimento – l’epoca attuale, provando anche a comprendere come sia possibile trasformare cammini spesso segnati da morte, odio, conflitti e tragedie in percorsi e “porte” di speranza.
Vi è stata poi la testimonianza di mons. Domenico Mogavero (Vescovo emerito di Mazara del Vallo) che, sulla base dell’esperienza diretta nella Diocesi siciliana che ha guidato per oltre 15 anni fino al 2022, ha raccontato come le comunità cristiane possono e sono sempre più provocate ad essere luogo e occasione di incontro per genti provenienti da più parti: “C’è da avviare nella Chiesa una riflessione più ampia a partire dal fenomeno migratorio per ripensare, alla luce della realtà, un nuovo modo di dialogare con il mondo a cui raccontare la freschezza e la bellezza del Vangelo. Il rapporto con i migranti, che sono volti concreti e non oggetti, esca finalmente dalla marginalità pastorale o dall’emergenza per farli entrare di diritto nella nostra agenda pastorale e nella vita delle nostre Chiese”. Mons. Mogavero ha indicato alcune possibili linee pastorali – creare occasioni di carità solidale e di “ecumenismo della carità”, favorire l’inserimento e la partecipazione di persone e famiglie migranti cattoliche nelle comunità, la purificazione del linguaggio e il coraggio di alcune scelte profetiche – ed ha, infine, aggiunto: “L’integrazione è sempre un punto d’arrivo, un processo non breve che deve rimuovere sospetti e diffidenze e richiede dialogo, condivisione e – come stato intermedio – dei percorsi di inclusione e convivenza pacifica”.
L’intervento conclusivo è stato svolto da mons. Michele Tomasi, Vescovo di Treviso e delegato per la Pastorale sociale del Triveneto, che ha sottolineato la necessità di saper inquadrare il fenomeno migratorio nel suo orizzonte più ampio – che tiene conto anche degli scenari demografici e di mobilità umana – e comprendere che tale ambito tocca in profondità la vita e l’identità delle comunità cristiane: “Vale la pena, allora, affrontare le paure e le sfide con il metodo e lo stile di chi accende delle luci per cominciare a togliere qualche paura, di chi sa perseguire l’inclusività e la compassione, la capacità di incontrare le persone e condividere le esperienze. Siamo, infatti, convinti che tale fenomeno abbia un forte potenziale ri-generativo per le nostre comunità ecclesiali e civili”.
Nel corso della “due giorni” la Delegazione Caritas del Nordest ha presentato ai Vescovi un rapporto aggiornato sull’impegno e sulle “fatiche” che le Caritas di questa Regione affrontano nell’accoglienza dei migranti, in base alle diverse tipologie previste di accoglienza e alla metodologia scelta per una accoglienza diffusa e ben strutturata. Nel documento sono indicate anche criticità e questioni aperte: la crescente precarietà di condizione dei richiedenti asilo, la gravità dell’emergenza abitativa (anche per motivi burocratici), la fatica nel rapporto con gli Enti pubblici – talora inteso in una logica meramente strumentale – e la “solitudine” nella quale le Caritas si trovano spesso ad operare anche all’interno delle stesse comunità cristiane, chiamate sempre più ad educare all’ascolto, all’accoglienza, al discernimento e a favorire la creazione di legami e collaborazioni trasversali.
I Vescovi, durante i momenti di dibattito, hanno espresso la consapevolezza del passo in avanti che la vastità e il perdurare strutturale del fenomeno migratorio – non visto più solo come problema ma come risorsa – richiedono alle Chiese del Nordest, a partire dal contributo delle Commissioni regionali, sia negli aspetti di vita pastorale e annuncio missionario del Vangelo sia nelle relazioni con credenti e non credenti, con persone e comunità, nel dibattito pubblico e con i vari soggetti della vita politica, economica, culturale e lavorativa dei nostri territori. Hanno, infine, espresso l’auspicio che da parte delle istituzioni ed autorità civili siano posti al più presto segni concreti che aiutino migranti e comunità locali a favorire – nel rispetto, nella concordia e per esigenze di bene comune – l’inclusione ed una pacifica convivenza, ad esempio cominciando a prevedere modalità semplificate e con meno “pesi” burocratici negli ingressi regolari, nella concessione e nel rinnovo dei permessi di soggiorno ed anche offrendo il riconoscimento della cittadinanza a quanti da tempo vivono, sono nati o studiano nel nostro Paese.