Probabilmente molti di voi si sono meravigliati ascoltando le tre letture che sono state appena proclamate: nessun cenno alla scena della natività e all’adorazione dei pastori, invece una riflessione non facile da capire sulla Parola, sul Verbo di Dio. È un altro modo di parlare del Natale, più profondo e più impegnativo. In particolare il testo di Giovanni, il cosiddetto prologo, è un testo importantissimo per comprendere il mistero del Natale, in quanto ci aiuta a rispondere alla domanda: chi è il Bambino del presepe? È una domanda decisiva perché ci porta ad andare oltre un modo banalizzante di guardare al Natale e ci introduce nella dimensione della fede.
Per capire chi è il Bambino del presepe San Giovanni ci invita ad allargare l’orizzonte, ad andare «al principio»: in principio non significa semplicemente all’inizio: all’inizio del tempo, o all’inizio della storia del mondo, o prima della vicenda che verrà poi raccontata nel vangelo. Non si tratta, come in certi racconti, di partire da una specie di antefatto. «In principio era il Verbo»: la Parola, Dio che esce da se stesso, che entra in relazione. Si dice che il Verbo “era”: era prima che ogni cosa fosse fatta. Poi si precisa, per due volte, che Egli era «presso Dio» (letteralmente: era rivolto verso Dio); anzi, Egli stesso era Dio. A questo “era”, che dice l’esistere del Verbo eternamente, fuori del tempo, si oppone il ripetersi nel prologo di un “divenne”, “fu fatto” (“egheneto”), che ritorna cinque volte. È detto del mondo e di tutto ciò che esiste; ma è detto soprattutto del divenire uomo, del farsi uomo del Figlio di Dio. Qui cogliamo il senso profondo del Natale: perché il Verbo che era, ora diviene, si fa uomo, entra nel tempo. E infatti nasce in un luogo, a Betlemme, e in un momento preciso della storia: come noi. Qui siamo al cuore del mistero del Dio cristiano.
«Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi»: è questa l’affermazione centrale del prologo. L’espressione «carne» vuol indicare la debolezza e la fragilità della condizione umana. L’Eterno, che è e non diviene, ed è privo di imperfezioni e di limiti, decide di divenire debolezza, indigenza, ed esporsi così anche alla malvagità umana. Dovremmo sentire tutta la forza e la bellezza di questa verità: perché quel Verbo che “era in principio” entra a far parte della nostra storia, diviene semplicemente uno di noi. La logica di Dio rovescia la logica umana dove conta la forza, il potere, la ricchezza. Dio invece per amore dell’umanità, si abbassa e assume su di sé la nostra condizione umana e ci apre così la via per diventare anche noi partecipi della vita di Dio: si è fatto come noi per farci come lui!
Il farsi uomo del Verbo di Dio, non ci lascia indifferenti: se Dio ha accettato di cambiare il suo modo di essere per amore nostro, non potremmo anche noi cambiare il nostro modo di essere per amore dei nostri fratelli? È questa la provocazione del Natale, che non è una festa rassicurante e consolatoria ma se ne comprendiamo il vero significato è una festa che ci sconcerta e ci spiazza.
Vivere il Natale nella sua verità infatti vuol dire rovesciare la nostra logica umana: solo così la salvezza di Dio può entrare nella storia degli uomini.