Pubblichiamo il testo dell’Introduzione del Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e Presidente della CEI, ai lavori della sessione autunnale del Consiglio Episcopale Permanente, che si svolge a Roma dal 27 al 29 settembre.
Cari Confratelli,
il nostro Consiglio Permanente, rinnovato in larga misura durante l’Assemblea Generale dello scorso maggio con l’elezione di due Vice Presidenti della CEI e dei nuovi Presidenti delle Commissioni Episcopali, si riunisce oggi in spirito di preghiera e di comunione fraterna per procedere in particolare ad alcuni importanti adempimenti statutari e per preparare l’Assemblea Generale Straordinaria di novembre.
All’inizio di queste giornate rivolgiamo un pensiero grato a Monsignor Vincenzo Bertolone, Arcivescovo emerito di Catanzaro-Squillace e già Presidente della Conferenza Episcopale Calabra, per il lavoro di questi anni. Mentre accogliamo, per questa sessione, in rappresentanza dei Vescovi calabri, Mons. Francesco Milito, Vescovo di Oppido Mamertina-Palmi. Ringraziamo anche il Cardinale Angelo Bagnasco per il servizio reso al Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE). Nei giorni scorsi è stata celebrata a Roma l’Assemblea Plenaria, nel 50° d’istituzione di questo Organismo di comunione tra le Conferenze Episcopali d’Europa, con l’elezione del nuovo Presidente: Monsignor Gintaras Linas Grušas, arcivescovo di Vilnius. A lui i nostri fervidi auguri.
Chiediamo al Signore d’ispirare i nostri pensieri e sostenere le nostre decisioni, perché contribuiscano al bene delle nostre Chiese, nel tracciato del Cammino sinodale.
1. Salutiamo con profondo affetto il Santo Padre, da poco rientrato dal viaggio apostolico in Ungheria e in Slovacchia. Lo abbiamo visto perfettamente ristabilito – Egli stesso l’ha confermato – dopo l’intervento subito il 4 luglio scorso. Di questo rendiamo lode a Dio Padre, al quale continuiamo ad affidarlo nelle nostre preghiere. Dal cuore dell’Europa, Papa Francesco ci ha esortato ad aprirci «alla novità scandalosa del Dio crocifisso e risorto, Pane spezzato per dare vita al mondo», ricordando che l’Eucaristia spinge «a sentirci un solo Corpo, a spezzarci per gli altri». E gli altri sono soprattutto i più deboli, gli ultimi, coloro che continuano a essere emarginati, discriminati e stigmatizzati. «Lo sguardo cristiano – ha affermato Francesco – non vede nei più fragili un peso o un problema, ma fratelli e sorelle da accompagnare e custodire». Solo avendo questo sguardo possiamo pensarci come «una famiglia universale» e costruire un mondo solidale, giusto e fraterno. In diverse tappe della Sua visita, il Santo Padre ha ribadito la necessità di «mantenere salde le radici, ma senza arroccamenti», di «attingere alle sorgenti, aprendoci agli assetati del nostro tempo». È questa un’indicazione precisa che ha a che fare con lo stile che siamo chiamati a vivere e a proporre. La «prima cosa di cui abbiamo bisogno» – ha detto ancora il Papa – è «una Chiesa che cammina insieme, che percorre le strade della vita con la fiaccola del Vangelo accesa». Non una Chiesa «fortezza», dunque, ma una Chiesa che abita dentro la storia. Uscire, farsi prossimi, «accogliere le domande e le attese della gente» è l’antidoto contro l’autoreferenzialità. Dobbiamo «immergerci» nella vita reale per capire «quali sono i bisogni e le attese spirituali del nostro popolo» e «che cosa si aspetta dalla Chiesa». Questo vogliamo fare con il Cammino sinodale, che ad ottobre entrerà nel vivo. Per la Chiesa che è in Italia si tratta di un’opportunità da cogliere con sapienza e con coraggio, per avviare processi di rinnovamento e disegnare orizzonti di speranza in un tempo ancora intriso d’incertezza e paura.
2. Uno sguardo alla situazione sociale e civile del Paese, alla vigilia di una tornata elettorale che coinvolge milioni d’italiani, ci restituisce finalmente qualche segnale confortante, mentre continua la campagna vaccinale contro il Covid-19. È doveroso ringraziare le autorità e gli operatori che si spendono in questo senso, e sottolineare il consenso dei cittadini che non si sono sottratti a quello che il Papa ha definito «un atto d’amore». Bisogna proseguire su questa strada che ci consente innanzitutto di salvare tante vite umane, specialmente tra le persone più fragili. Auspichiamo che tutto questo avvenga nel pieno rispetto della dignità della persona. Così come auspichiamo che sia presupposto di una ripresa da consolidare oltre la fase contingente, sempre nella salvaguardia dei diritti dei lavoratori. Allo stesso tempo, è nostro compito ricordare che la crescita economica non è un valore assoluto: va infatti declinata e giudicata secondo criteri di sostenibilità sociale e ambientale, come mette in evidenza anche il tema della prossima Settimana Sociale, che vivremo tra poco meno di un mese a Taranto. Le ferite causate dalla pandemia nel tessuto economico-sociale del Paese sono ancora profonde. Basti pensare che rispetto a due anni fa, nonostante il recupero degli ultimi mesi, mancano all’appello ancora migliaia di posti di lavoro. Il nuovo Rapporto Caritas su povertà ed esclusione sociale conferma che quasi uno su tre dei nuovi poveri del 2020 si è rivolto ai Centri Caritas anche nel corso del 2021. Una rilevazione dal significato ambivalente: da una parte, può essere indice dei primi effetti positivi della ripresa; dall’altra, mostra che ancora non si è tornati ai livelli pre-crisi in cui la povertà era, comunque, un’emergenza sociale. È dunque fondamentale che i benefici della crescita economica siano distribuiti in modo da ridurre – e non accrescere – le disuguaglianze che si sono approfondite a causa della pandemia. Così come non va perduta l’occasione storica di attribuire al nuovo assegno unico per i figli una dotazione finanziaria adeguata al compito strategico che questa misura è chiamata a svolgere. Per scaldarsi dal freddo dell’inverno demografico, infatti, serve un modello di sviluppo chiaro nei principi e negli indirizzi di fondo che sappia non solo farsi carico, ma armonizzare in un quadro organico le varie stagioni della vita.
A fronte di questi segnali non univoci ma carichi di potenzialità, suscita invece una grave inquietudine la prospettiva di un referendum per depenalizzare l’omicidio del consenziente. Autorevoli giuristi hanno messo in evidenza serie problematiche di compatibilità costituzionale nel quesito per il quale sono state raccolte le firme e nelle conseguenze che un’eventuale abrogazione determinerebbe nell’ordinamento. Senza voler entrare nelle importanti questioni giuridiche implicate, è necessario ribadire che non vi è espressione di compassione nell’aiutare a morire, ma il prevalere di una concezione antropologica e nichilista in cui non trovano più spazio né la speranza né le relazioni interpersonali. C’è una contraddizione stridente tra la mobilitazione solidale, che ha visto un Paese intero attivarsi contro un virus portatore di morte, e un’iniziativa che, a prescindere dalle intenzioni dei singoli firmatari della richiesta referendaria, propone una soluzione che rappresenta una sconfitta dell’umano. Chi soffre va accompagnato e aiutato a ritrovare ragioni di vita; occorre chiedere l’applicazione della legge sulle cure palliative e la terapia del dolore.
3. Guardando agli scenari internazionali, dobbiamo ancora una volta constatare come la pandemia stia segnando la vita dei popoli e delle nazioni sia sul piano sanitario sia sul versante economico e sociale, con pesanti conseguenze nei Paesi del Nord e del Sud del mondo.
Ci preoccupa, inoltre, la situazione in Afghanistan: benché essa sia già scomparsa dalle prime pagine dei mass media, non può essere dimenticata. Nel Paese mediorientale assistiamo alle conseguenze di scelte che non hanno portato una pace e uno sviluppo stabili e duraturi, mentre la popolazione soffre pesanti forme di violenza, vendette e violazione dei diritti umani fondamentali, che hanno per vittime in particolare le donne e i minori. Ribadiamo dunque l’appello alla Comunità internazionale perché si faccia garante della pace e della dignità umana. A chi detiene il potere oggi a Kabul chiediamo senso di responsabilità, rispetto della persona umana e impegno a garantire l’accesso degli aiuti umanitari necessari a soccorrere la popolazione bisognosa. Rivolgiamo ancora una volta un pensiero fraterno alle comunità cristiane dell’area, assicurando la sollecitudine della Chiesa che è in Italia a partecipare ai programmi di sostegno in loco e di eventuale accoglienza dei profughi in accordo con le Istituzioni nazionali.
Il ventesimo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle di New York, che abbiamo ricordato nei giorni scorsi, ha riproposto il tema del terrorismo internazionale e quello strettamente correlato della convivenza pacifica tra le nazioni, le culture e le religioni. Oggi il nostro mondo ha più che mai bisogno di dialogo, di rispetto, di reciproca accoglienza delle diversità che possono arricchire l’intera famiglia umana. In tal senso il bacino del Mediterraneo può assumere un ruolo concreto e al contempo simbolico di avvicinamento e di reciproco supporto tra l’Europa, l’Africa e il Medio Oriente, per una pace che torni a germinare a partire da quella che per secoli ha costituito “la culla dell’umanità”. Le prospettive aperte dal Comitato che sta preparando l’Incontro del Mediterraneo in programma a Firenze nei primi mesi del 2022 vanno proprio in questa direzione.
4. Cari Confratelli, in queste giornate ci confronteremo sul Cammino sinodale delle nostre Chiese, avviato dall’Assemblea Generale di maggio. Lo scorso 18 settembre, incontrando i fedeli della Diocesi di Roma, Papa Francesco ha ribadito che «la sinodalità esprime la natura della Chiesa, la sua forma, il suo stile, la sua missione. E quindi parliamo di Chiesa sinodale, evitando, però, di considerare che sia un titolo tra altri, un modo di pensarla che preveda alternative. Non lo dico sulla base di un’opinione teologica, neanche come un pensiero personale, ma seguendo quello che possiamo considerare il primo e il più importante “manuale” di ecclesiologia, che è il libro degli Atti degli Apostoli».
La scelta della dizione Cammino sinodale certamente, da un punto di vista linguistico, potrebbe suonare ridondante, ma rappresenta bene gli obiettivi e lo stile del percorso. La parola Cammino rimanda alla dimensione pellegrinante della Chiesa nella storia (cf LG, cap. 2). È la «Chiesa in uscita», cui ci richiama Papa Francesco e che in Evangelii Gaudium descrive come «la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano» (n. 24). Un pellegrinaggio, dunque, che trova il culmine nella liturgia e da lì riparte continuamente. E poi c’è la dimensione sinodale, che significa vivere insieme, come stile, forma e coralità di ogni soggetto ecclesiale. Con pazienza e, soprattutto, con umiltà! È qui che noi desideriamo collocarci e il Papa c’incoraggia in questo, chiedendo il coinvolgimento di ciascuno. È questo il Cammino che vogliamo compiere in modo sinodale, in ascolto delle «gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» (cf GS, 1). Su questi nostri propositi invochiamo lo Spirito del Signore.
Affidiamo queste giornate di collegialità e comunione all’intercessione della Vergine Maria, del suo sposo Giuseppe e dei Santi e delle Sante Patroni delle nostre Chiese.