Siamo arrivati al termine di questo giorno di Pasqua, vissuto all’interno delle nostre case, senza poterci riunire, senza poterci scambiare di persona gli auguri, senza neppure poter andare in chiesa per la messa di Pasqua. Che giorno di festa è stato mai questo? Probabilmente nei nostri cuori il sentimento dominante è quello della preoccupazione e della delusione: ancora qualche settimana fa, prima di comprendere la gravità dell’epidemia e delle sue conseguenze, speravamo che questa Pasqua sarebbe stata ben diversa da come in realtà l’abbiamo vissuta.
E’ interessante notare che questo stato d’animo di tristezza e di preoccupazione per il futuro è presente anche nei Vangeli, in particolare nel brano che ci è stato proposto. La prima Pasqua non è stata solo un giorno di gioia e di entusiasmo, ma anche di fatica a credere che Gesù era Risorto. La testimonianza più forte di questa fatica, è proprio nei due discepoli che la sera di Pasqua se ne tornano da Gerusalemme delusi e rassegnati. Anche loro, come gli altri, hanno sentito che il sepolcro è stato trovato vuoto e che alcuni hanno visto Gesù, ma non ne sono rimasti toccati. Per loro tutto è finito: la loro delusione è bene espressa dal quel verbo al passato «speravamo». «Speravamo» ma ora non più ….. Tuttavia c’è dentro di loro un’inquietudine che si manifesta nei loro discorsi, discorsi animati e insistenti, se l’evangelista Luca usa ben tre verbi diversi («conversavano», «discorrevano», «discutevano»).
Ci è possibile cogliere il senso di questi discorsi dal colloquio che intavola con loro il pellegrino sconosciuto che si affianca nel cammino. Da questo colloquio in particolare emerge il motivo della loro tristezza.
E’ interessante fermarci su questo punto, perché qui possiamo trovare un’indicazione per un percorso che ci faccia passare dalla tristezza e dall’angoscia alla gioia e alla pace della Pasqua. I due discepoli sono delusi perché non hanno capito che Cristo non poteva entrare nella gloria se non passando prima attraverso la sofferenza e la morte. Proprio lì Dio fa nascere la salvezza e la vita: in altre parole la sofferenza e la morte non sono il luogo dove tutto finisce ma per la potenza di Dio sono l’inizio di una vita nuova.
Il viandante sconosciuto li rimprovera «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti. Non sapevate che bisognava che Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». Di fronte all’esperienza del dolore e della morte può capitare a tutti di essere «sciocchi e tardi di cuore». Per credere in Cristo Risorto infatti occorre che accogliamo anche la sua passione e la sua morte in croce e, cosa ancora più difficile, per sperimentare la forza della risurrezione dobbiamo accettare la sofferenza e la morte. Comprendiamo come tutto questo sia sempre stato semplicemente scandaloso. Come afferma San Paolo: «Cristo crocifisso scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani» (1 Cor.1,22-24). La sofferenza rischia di istupidirci («sciocchi»), cioè di non farci capire più nulla e pure ci rende «tardi di cuore» cioè ci toglie la voglia di vivere e di aprirci agli altri.
Queste considerazioni sono quanto mai attuali nella situazione che ci troviamo a vivere, dove la malattia, la sofferenza, la morte sembrano smentire il messaggio della pasqua: come possiamo davanti alla morte di tanti fratelli ripetere l’annuncio della risurrezione? come possiamo cantare l’Alleluia in un tempo in cui il pericolo del contagio ci priva persino della possibilità di condividere il lutto e di esprimere i segni dell’umana pietà?
C’è un percorso però che può condurci a capire ed è quello che il viandante offre ai due discepoli delusi: riandare alle Scritture per entrare nella logica di Dio. Un percorso che non porta frutti immediati, ma che richiede pazienza e perseveranza: è questo cammino che ci apre ad un sentire nuovo e diverso. E’ un cammino che può riaccendere il fuoco della speranza: non a caso il testo di Luca ci dice man mano che il viandante li guida a scoprire il progetto di Dio avviene un cambiamento nel cuore dei discepoli fino al momento dello svelamento, quando a cena riconoscono Gesù nel gesto dello spezzare il pane.
Portiamoci a casa questa sera il messaggio che il Signore non ci lascia soli, prigionieri delle nostre delusioni e delle nostre angosce: come sulla strada di Emmaus anche per noi oggi Lui vuol farsi nostro compagno di strada per aiutarci a decifrare la nostra tristezza, per smascherare la stoltezza che intorpidisce la mente, per pungolare il cuore perché sia agile e pronto. A noi è chiesto come ai discepoli di Emmaus di accettare di lasciarci interrogare e di aprire il cuore al Signore che ci affianca nel nostro cammino.
Preghiamo anche noi questa sera il Signore con le parole dei due discepoli di Emmaus: «Signore rimani con noi, perché si fa sera …. cammina con noi, riscalda il nostro cuore triste e deluso, apri i nostri occhi perché possiamo vedere il tuo volto nelle persone che incontriamo, specie nei più deboli e poveri. Aiutaci a credere che anche noi possiamo risorgere assieme a Te per una vita nuova!»