Un venerdì di Quaresima particolare quello del 27 marzo. Segnato dal dolore per le vittime del virus, inquietato dai numeri del contagio, ma anche contraddistinto dalla speranza che si alimenta con la preghiera. Dalla presenza della Chiesa che si fa più che mai vicina agli ultimi, a chi sta pagando un prezzo terribile all’emergenza. Una testimonianza che si fa ancora più concreta in questo “Venerdì della misericordia” in cui i vescovi che ne hanno la possibilità sono invitati a recarsi da soli a un Cimitero della loro diocesi per un momento di raccoglimento, veglia di preghiera e benedizione. L’intenzione è quella di affidare alla misericordia del Padre tutti i defunti di questi giorni nonché di esprimere anche in questo modo la partecipazione della Chiesa al dolore di chi è nel pianto.
A maggior ragione molto significativo in questo senso il gesto del Papa che oggi alle 18, presiederà un momento di preghiera sul sagrato della Basilica di San Pietro, con la piazza vuota (QUI COME SEGUIRLO), per chiedere al Signore di ascoltare l’invocazione di tutti gli uomini e le donne in questo tempo segnato dall’epidemia. La preghiera prevede anche l’adorazione del Santissimo Sacramento, con il quale al termine il Pontefice impartirà la Benedizione Urbi et Orbi, con la possibilità di ricevere l’indulgenza plenaria. Quest’ultima eccezionalmente “cambia” alla luce dei tempi particolari che viviamo.
Come noto l’indulgenza è la totale o parziale remissione, cioè la cancellazione, della pena temporale dovuta per i peccati già confessati e perdonati sacramentalmente. Per spiegarla bene, spesso si ricorre all’esempio del foro sul muro e del chiodo che l’ha procurato. Il chiodo è il peccato che una volta confessato e perdonato attraverso la Confessione “non c’è più”. Resta invece l’effetto del male commesso, il foro, che l’indulgenza per così dire chiude. Riassumendo: l’assoluzione sacramentale cancella i peccati, mentre l’indulgenza cancella la pena temporale, che non significa terrena, ma con una durata di tempo non senza fine: terrena, oppure da scontare in Purgatorio..
Normalmente le condizioni per ottenere l’indulgenza sono la Confessione sacramentale, la comunione eucaristica e la preghiera secondo le intenzioni del Papa. È inoltre chiesta un’opera “indulgenziata” da compiere nei tempi stabiliti, che può essere, ad esempio una determinata preghiera o la visita a una chiesa particolare.
Come detto però in questi tempi di emergenza la Chiesa dà la possibilità di ottenere l’indulgenza plenaria ai malati di coronavirus, agli operatori sanitari, ai familiari e a quanti, con modalità differenti si prendono cura di chi sta male. E proprio in virtù della situazione attuale stabilisce condizioni particolari, che ad esempio non prevedono la presenza fisica alle celebrazioni, salvo poi provvedere appena possibile. Vale la pena leggere direttamente, quanto stabilisce il decreto della Penitenzieria apostolica pubblicato lo scorso 20 marzo:
«Si concede l’Indulgenza plenaria ai fedeli affetti da Coronavirus, sottoposti a regime di quarantena per disposizione dell’autorità sanitaria negli ospedali o nelle proprie abitazioni se, con l’animo distaccato da qualsiasi peccato, si uniranno spiritualmente attraverso i mezzi di comunicazione alla celebrazione della Santa Messa o della Divina Liturgia, alla recita del Santo Rosario o dell’Inno Akàthistos alla Madre di Dio, alla pia pratica della Via Crucis o dell’Ufficio della Paràklisis alla Madre di Dio oppure ad altre preghiere delle rispettive tradizioni orientali, ad altre forme di devozione, o se almeno reciteranno il Credo, il Padre Nostro e una pia invocazione alla Beata Vergine Maria, offrendo questa prova in spirito di fede in Dio e di carità verso i fratelli, con la volontà di adempiere le solite condizioni (confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre), non appena sarà loro possibile»
L’Indulgenza plenaria si può ottenere anche da parte di chi, in punto di morte, sia impossibilitato a ricevere l’Unzione degli infermi o il Viatico, «purché sia debitamente disposto e abbia recitato abitualmente durante la vita qualche preghiera». In questo caso è raccomandato l’uso del crocifisso e della croce.
Inoltre, proprio in virtù della drammatica eccezionalità che viviamo, la Penitenzieria apostolica va oltre e concede la possibilità di ottenere l’Indulgenza plenaria anche «a quei fedeli che offrano la visita al Santissimo Sacramento, o l’adorazione eucaristica o la lettura delle Sacre Scritture per almeno mezz’ora, o la recita del Santo Rosario o dell’inno Akàtistos alla Madre di Dio, o il pio esercizio della Via Crucis, o la recita della Coroncina della Divina Misericordia, o dell’ufficio della Paràklisis alla Madre di Dio o altre forme proprie delle rispettive tradizioni orientali di appartenenze per implorare la cessazione dell’epidemia, il sollievo per coloro che ne sono afflitti e la salvezza eterna a quanti il Signore ha chiamato a sé».
Infine con una nota collegata al decreto, la Penitenzieria apostolica, apre eccezionalmente alla possibilità all’assoluzione collettiva. Spetta al pastore della Chiesa locale «e relativamente al livello di contagio pandemico» determinare «i casi di grave necessità nei quali sia lecito impartire l’assoluzione collettiva: ad esempio all’ingresso dei reparti ospedalieri, ove si trovino ricoverati i fedeli contagiati in pericolo di morte, adoperando nei limiti del possibile e con le opportune precauzioni i mezzi di amplificazione della voce, perché l’assoluzione sia udita».
Inoltre dove «i singoli fedeli si trovassero nella dolorosa impossibilità di ricevere l’assoluzione sacramentale, si ricorda che la contrizione perfetta, proveniente dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa, espressa da una sincera richiesta di perdono (quella che al momento il penitente è in grado di esprimere) e accompagnata dalla ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale, ottiene il perdono dei peccati, anche mortali».