Ogni anno la Chiesa ci invita a rivivere la Pasqua del Signore, cioè il suo passaggio da questo mondo al Padre, un passaggio compiuto attraverso la passione, la morte e la risurrezione. Questi eventi hanno abbracciato lo spazio di tre giorni e per questo la Chiesa ci fa celebrare la Pasqua nell’arco di tempo che va dalla celebrazione del giovedì serafino alla sera del giorno di Pasqua: il «Triduo pasquale» non è la preparazione alla Pasqua, ma la «Pasqua celebrata in tre giorni». Per entrare nel mistero della Pasqua bisogna che teniamo uniti in un unico sguardo questi giorni: vivendo le celebrazioni del Triduo sacro come un unico percorso. La celebrazione della cena del Signore è come il prologo, l’introduzione, che ci offre la chiave per capire tutto il resto.
Per introdurci al significato della Pasqua la liturgia si serve di tre racconti: il rituale della pasqua degli ebrei, la narrazione della lavanda dei piedi compiuto da Gesù nell’ultima cena e l’istituzione dell’eucaristia. In ognuno di questi tre racconti c’è un gesto che diventa simbolo di ciò che Dio fa per l’uomo: l’agnello ucciso e condiviso in un pasto; un catino d’acqua usato da Gesù per lavare i piedi dei suoi discepoli, il pane e il vino distribuiti in una mensa. Tre simboli diversi, che formano un’unica immagine, l’immagine della compassione di Dio per il suo popolo, tre simboli che ci aiutano a capire il significato della morte e risurrezione di Gesù. In particolare la lavanda dei piedi e l’istituzione dell’eucaristia ci mostrano la libertà di Gesù nel donare la vita. Certamente Gesù è consegnato alle guardie del sinedrio da Giuda, ma il tradimento del discepolo va inserito in un quadro più ampio che ha Dio per protagonista: è Dio che si consegna all’uomo, ancora più in profondità è il Figlio stesso nella sua incondizionata obbedienza a consegnarsi, a donarsi, a spezzare il la sua vita e a versare il suo sangue per la salvezza di tutti gli uomini.
Giovanni inizia il racconto dell’ultima cena sottolineando la piena consapevolezza di Gesù: «Gesù sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre ….» e indicando tutto quello che Gesù avrebbe fatto come un atto infinito di amore «amò i suoi fino alla fine». Questo amore così grande da essere inconcepibile per noi esseri umani è rappresentato plasticamente dai gesti della lavanda dei piedi e del pane e del vino donati.
I gesti di Gesù nell’ultima cena sono gesti che devono essere ripetuti: «vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto io»; «fate questo in memoria di me»: ripetuti non soltanto nel rito, ma soprattutto nella vita. «Lavare i piedi» significa mettersi al servizio gratuitamente e non servirsi degli altri per il proprio interesse. «Spezzare il pane e il vino» comporta fare della propria vita un dono, condividere ciò che siamo e ciò che abbiamo, il nostro tempo e le nostre risorse.
Mentre contempliamo i segni dell’amore infinito di Dio, che si è rivelato nella pasqua del Signore, se lo vogliamo possiamo trovare anche noi la forza di amare come lui. Vivere la Pasqua vuol dire proprio questo: credere nella potenza dell’amore.
A questo proposito ho ricevuto in questi giorni un messaggio di una giovane moglie che vive un periodo di seria difficoltà con il marito. Mi scrive così: «…durante questa settimana di attesa della Pasqua mi sento molto vicina a Dio. Sarà che stiamo cercando di essere presenti agli appuntamenti proposti dal nostro parroco … spero di risorgere anch’io verso un nuovo incontro con mio marito».
Credo che questa speranza e questo desiderio di risurrezione dovrebbero essere presenti in ciascuno di noi all’inizio del Triduo Pasquale. Quanti aspetti della nostra vita hanno bisogno di risorgere, questa sera Gesù ci ha mostrato la strada, percorriamola con fiducia assieme a lui.
Messa in Coena Domini
18-04-2019