Più di qualcuno, dopo aver ricevuto la lettera di invito a questa celebrazione, mi ha detto che avevo già pronta la traccia per l’omelia. Il riferimento è a un passo tratto dalla vita di San Bellino, riportato nell’invito:
«Il giorno 4 marzo 1136 Maconia, figlia del fu Guglielmo Aribone, faceva dono di tre pezzi di terra situati nei dintorni di Padova ai “sacerdoti e chierici della città di Padova” costituiti in una Congregazione. I beni sono elargiti affinché servano al mantenimento dei sacerdoti e chierici e ne ricevano preghiere di suffragio l’anima sua, del marito e del figlio. Dunque era nata una Congregazione, che raccoglieva in un unico corpo morale tutti i sacerdoti e chierici addetti alle molteplici chiese qua e là erette nella città e nel suburbio. Quell’unione di sacerdoti, in uno spirito nuovo di fratellanza, aveva sorpreso benevolmente il popolo ed ecco una prima testimonianza di simpatia…Ora chi abbia riunito i sacerdoti in una Congregazione perfettamente organizzata, per noi non è dubbio: ci vediamo la mente e il cuore del vescovo Bellino, il quale deve averla istituita ai primordi della sua cura pastorale» (Antonio Barzon, Santi Padovani, pag. 331ss)
Ringrazio don Alessandro Cavallarin, che ci ha fatto dono di questo testo, che tocca un aspetto fondamentale della vita presbiterale: la fraternità tra presbiteri.
San Bellino nel suo tempo lavorò per la «riforma» della Chiesa e per quel che possiamo intuire proprio questo suo orientamento gli costò l’ostilità dei potenti e alla fine anche la vita. Come tutti i riformatori, San Bellino si prese a cuore la vita del clero e promosse l’unione tra i suoi preti istituendo la Fratalea cappellanorum, oggi diremmo una «fraternità presbiterale». Vediamo in questo una straordinaria attualità: Papa Francesco in Evangelii Gaudium propone a tutta la Chiesa una «mistica della fraternità». E’ un appello che deve vederci, presti e vescovo, interpellati per primi. Se il lavoro pastorale deve avere come obiettivo prioritario sviluppare la fraternità nella concretezza della vita ecclesiale, noi pastori del popolo di Dio per primi dobbiamo convertirci a questo spirito di fraternità, sentendolo come un’esigenza fondamentale da cui dipende la fecondità stessa del nostro ministero. Vivere il nostro ministero sentendoci fratelli di tutti, dei nostri fedeli, prima di tutto, ma anche di ogni uomo con cui abbiamo a che fare è la premessa per essere credibili in quello che facciamo e in quello che diciamo. Un’importanza particolare ha la fraternità all’interno del presbiterio, tra presbiteri e nel rapporto tra presbiteri e vescovo.
Occorre una vera e propria conversione alla fraternità tra presbiteri: tutti viviamo amicizie belle con alcuni confratelli, ma non è sufficiente fermarsi a quelle relazioni che ci vengono spontanee e che nascono per affinità e consuetudini consolidate. La vera sfida è quella di vincere le resistenze e le antipatie che creano separazioni e rendono difficile la stessa collaborazione pastorale.
La conversione richiesta prima ancora che la dimensione morale riguarda quella spirituale: la fraternità infatti nasce dalla consapevolezza di essere figli di uno stesso Padre. Per noi ministri ordinati poi discende dal sacramento dell’Ordine. L’ordinazione sacerdotale infatti crea un’unità profonda, di carattere sacramentale, tra i preti e con il vescovo. I confratelli non sono in relazione con me solo per un’affinità psichica, sentimentale, ma è il mistero di Dio che plasma la nostra comunione. La preghiera dovrebbe aprirci a questa comunione che discende dal dono di Dio e che ci spinge a vincere le resistenze frutto della nostra umana sensibilità e andare oltre le barriere che ci separano.
In positivo convertirsi alla fraternità significa scoprire che il mio confratello, chiunque egli sia, è un dono di Dio per me. Gli altri non sono l’inferno, riprendendo una frase famosa di Sartre. L’altro è benedizione perché mi offre la possibilità di uscire da me stesso, di condividere e di arricchirmi. L’altro è il fratello a cui devo fare spazio e che devo conoscere per sapere cosa lo fa soffrire e cosa lo rende felice, per portare i suoi pesi e condividere i suoi pensieri, i suoi desideri, per ascoltarlo e consultarlo in vista di un discernimento ecclesiale da fare insieme.
La vita pastorale è fonte continua di conflittualità, di incomprensioni, di delusioni che rendono difficili le relazioni tra presbiteri (e anche con il Vescovo), guai però se per questo ritenessimo compromessa la possibilità di costruire la fraternità: esiste infatti sempre, anche per noi preti, la possibilità di confrontarci, di spiegarci, di perdonarci, di darci nuovamente fiducia. La fraternità è un cammino, spesso in salita e che incontra anche interruzioni e ostacoli, ma vale la pena di affrontarlo con generosità e fiducia.
A proposito del ministero episcopale di San Bellino abbiamo letto la seguente constatazione «Quell’unione di sacerdoti, in uno spirito nuovo di fratellanza, aveva sorpreso benevolmente il popolo ed ecco una prima testimonianza di simpatia…». Quanto sarebbe bello anche oggi sentire che la nostra gente coglie in noi uno spirito nuovo di fraternità e ciò suscita una benevola sorpresa e una attestazione di simpatia….
San Bellino, nostro patrono, interceda per noi affinché tutti, preti, laici e religiosi sappiamo mettere al centro della nostra vita ecclesiale una vera, effettiva fraternità evangelica, capace di interpellare e di attrarre gli uomini e le donne di questa nostra terra.