La profezia della Prima Assemblea sinodale

“È il tempo di realizzare quella missione nello stile della prossimità che aveva animato San Paolo. Sentiamo anche noi questa vocazione a una missione condotta non in solitaria, ma insieme, per portare con coraggio e speranza il Vangelo, anzitutto attraverso la testimonianza dell’amore fraterno (cf. Gv 13,35)”.

“È il tempo di realizzare quella missione nello stile della prossimità che aveva animato San Paolo. Sentiamo anche noi questa vocazione a una missione condotta non in solitaria, ma insieme, per portare con coraggio e speranza il Vangelo, anzitutto attraverso la testimonianza dell’amore fraterno (cf. Gv 13,35)”. Lo hanno sottolineato in un Messaggio rivolto a Papa Francesco gli oltre mille partecipanti all’Assemblea sinodale, che dal 15 al 17 novembre si sono ritrovati a Roma, nella Basilica di San Paolo fuori le mura. Tre giorni di ascolto e confronto, a partire dai Lineamenti e attraverso alcune Schede di lavoro che hanno sintetizzato quanto emerso dal biennio della fase narrativa e dall’approfondimento della “fase sapienziale”.  “Un incontro così insolito, che unisce tutte le nostre realtà, che vuole guardare il futuro con consapevolezza e profezia”, l’ha definito il Card. Matteo Zuppi, Presidente della CEI, che nel suo intervento introduttivo aveva ricordato che “in un tempo di crisi globale della partecipazione e di accentuato e diffuso individualismo, la profezia del Cammino sinodale mostra come verso il futuro si possa andare solo condividendo la responsabilità di un passo comune, libero da autoreferenzialità come pure dalla «paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37)» (Evangelii gaudium, 49)”. “Abbiamo sperimentato, sebbene rapidamente, la bellezza di essere ‘popolo profetico’. Questo è il Cammino sinodale, prima ancora e forse più ancora che un testo scritto. Un testo, certo, sarà necessario: lo dovremo discutere e votare nella Seconda Assemblea sinodale e nella prossima Assemblea Generale della CEI; ovviamente non potrà contenere tutti i temi pastorali e sociali ma dovrà tenerli presenti, perché costituiscono l’orizzonte missionario sul quale si deve misurare la riforma delle nostre Chiese”, ha affermato Mons. Erio Castellucci, Presidente del Comitato nazionale del Cammino sinodale, nel rilancio alle Diocesi.
“Tenere aperto il dialogo, continuare a stare seduti allo stesso tavolo attraversando gli inevitabili conflitti che emergono e mettendo in discussione le proprie certezze, senza cedere alla facile scorciatoia di far saltare il banco, è forse la più grande profezia che possiamo essere e portare al nostro tempo: un tempo in cui pare che, dinnanzi alle differenze, le uniche opzioni possibili siano l’assimilazione, la divisione o la guerra”, ha osservato Erica Tossani, del Presidenza del Cammino sinodale. L’obiettivo dei prossimi mesi, ha spiegato Mons. Castellucci, è quello di “adattare e tradurre gli orientamenti sinodali nella nostra situazione, nelle Chiese locali e in alcune scelte della Chiesa italiana. Non perdiamo di vista che lo scopo non è tanto di produrre altra carta – per quanto sarà necessario anche questo – ma proseguire nell’esperienza di uno stile, quello sinodale, che già sta diventando prassi nelle nostre Chiese e che ora domanda di potersi consolidare e disporre di strumenti perché diventi anche fatto strutturale”.
Nel suo Messaggio ai partecipanti all’Assemblea, Papa Francesco ha infatti incoraggiato le Chiese in Italia a “percorrere la terza tappa, dedicata alla profezia. I profeti vivono nel tempo, leggendolo con lo sguardo della fede, illuminato dalla Parola di Dio. Si tratta dunque di tradurre in scelte e decisioni evangeliche quanto raccolto in questi anni”.
La Prima Assemblea sinodale si è caratterizzata per due attenzioni particolari: quella per i poveri e quella per le vittime di abuso. “Siamo giudicati da cosa facciamo ai poveri, non dalle idee su di loro o dalle dichiarazioni. Essi non sono una categoria, ma persone da incontrare, toccare, vedere, sollevare. È una questione di amore che diventa risposte, case, rete di protezione, visita, anche economia rinnovata”, ha ricordato il Card. Zuppi. Da parte sua, Mons. Giuseppe Baturi, Segretario Generale della CEI, ha ribadito che “uno strappo come l’abuso non può essere sanato da una nuova toppa ma solo da una nuova veste, da un cambiamento radicale di cultura, di metodo, di cuore, un cambiamento che richiede l’infinita pazienza del dolore espresso e ascoltato, la speranza alimentata e valorizzata, la fiducia riannodata”.