«È bene aspettare in silenzio la venuta del Signore»: queste parole con cui si è chiuso il brano del Libro delle Lamentazioni proclamato come prima lettura, ci offrono una chiave di lettura per comprendere nella fede il messaggio di Grazia e di salvezza che ci viene dalla malattia e dalla morte del nostro caro don Giordano. Questi lunghi mesi, dal luglio del 2023 quando gli fu diagnosticata una forma di tumore al cervello molto aggressiva e che non lasciava scampo, sono stati per lui un tempo di silenzio: infatti, anche se fino agli ultimi giorni ha incontrato persone e si è intrattenuto con loro, non gli è più stato possibile quel servizio della Parola che, instancabile, aveva svolto con generosità e competenza per tutta la sua vita di prete, nella predicazione, nella catechesi, nell’accompagnamento spirituale, nell’insegnamento universitario e nella sua attività di giudice nei tribunali ecclesiastici. Quale contrasto tra quest’ultimo tratto e il resto della sua vita! Non è stato però un tempo inutile, perché ha consentito a questo nostro fratello di donarci la sua ultima e più preziosa lezione, che illumina e spiega anche le tante altre lezioni, prediche, riflessioni che abbiamo ricevuto da lui nelle fasi precedenti della sua vita.
È stato un silenzio abitato da una fede forte e serena, che nutriva la speranza dell’incontro prossimo con il Signore. Penso che chi lo ha incontrato durante la malattia non abbia difficoltà a mettere nelle sue labbra le espressioni che abbiamo sentite nella prima lettura: «Le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie. Si rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà. “Mia parte è il Signore – io esclamo –, per questo in lui spero”. Buono è il Signore con chi spera in lui, con colui che lo cerca». Visitandolo, non ho mai colto in lui la ribellione al male che lo attanagliava e gli toglieva ogni giorno di più le forze: si percepiva chiaramente in lui un atteggiamento di abbandono e di affidamento, che nasceva da una intera vita nutrita di fede e di preghiera.
Fede e preghiera spiegano anche come mai don Giordano, che ricopriva un ufficio di grande prestigio e responsabilità a servizio della Sede Apostolica, aveva sempre conservato una grande umiltà, tanto che qui a Rovigo – è la mia impressione – pochi si rendevano conto dell’importanza delle mansioni che gli erano affidate a Roma. Proprio l’umiltà e la cordialità del tratto lo facevano benvolere da tutti: di lui possiamo dire che ha messo in pratica l’insegnamento di Gesù: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita».
Don Giordano quindi è stato una figura di grande valore non solo per la sua cultura, per gli incarichi ricoperti, per le pubblicazioni scientifiche ma soprattutto perché in tutto questo ha saputo rimanere umile e disponibile verso tutti. Ad esempio non ha mai disdegnato, quando rientrava in Polesine da Roma nel fine settimana, di andare a prestare il suo ministero in piccole comunità di campagna, contento di poter mettersi a servizio della sua chiesa e della sua gente.
Egli ha onorato la nostra Diocesi e la nostra terra polesana ricoprendo l’ufficio di Uditore del Tribunale Apostolico della Rota Romana, il Tribunale del Papa, secondo polesano dopo il card. Pietro Silvestri che nel XIX secolo fu giudice rotale e decano della Rota Romana. Credo che lo stile con cui ha svolto questo compito prestigioso, costituisca un insegnamento prezioso per l’intera nostra comunità. Il Polesine, rispetto ad altri territori vicini, appare oggettivamente svantaggiato per dimensioni, per caratteristiche geografiche e composizione sociale ed economica, ma ha anche caratteristiche umane, quali la laboriosità, la cordialità e la semplicità della sua gente, che costituiscono un patrimonio unico. Don Giordano ha saputo farne tesoro e a metterlo a disposizione della Chiesa universale nel servizio alla Sede Apostolica. Impariamo da lui a lasciare da parte quel sottile senso di inferiorità che ci paralizza e ci porta al pessimismo. Come lui riconosciamo con umiltà i limiti oggettivi della nostra condizione e con intelligenza cerchiamo di sfruttare anche le risorse positive che proprio questa condizione ci mette a disposizione, servendocene per il riscatto e lo sviluppo della nostra terra.
Prima di concludere vorrei esprimere un grande grazie ai familiari di don Giordano, in particolare il fratello Pietro e la cognata Antonella, che lo hanno accolto nella loro casa e assistito amorevolmente lungo tutto il decorso della malattia. Quanto hanno fatto con tanta delicatezza e sensibilità è pure una testimonianza preziosa di cui fare tesoro.
Affidiamo quindi al Signore questo nostro fratello e impegniamoci a mettere a frutto gli insegnamenti che ci ha dato. La sua memoria sia di benedizione per la nostra Chiesa e per l’intera terra polesana.
© Rovigo La Voce