Un’idea che parte da lontano, frutto di un discernimento vero e proprio, tra dubbi e certezze, tra formazioni e sogni. Il prossimo 27 agosto sarà l’ultimo giorno della mensa dei poveri gestita dai frati cappuccini che lasceranno definitivamente il capoluogo polesano. Dal giorno seguente partirà una nuova esperienza all’interno del Seminario diocesano, un piccolo passo prima di una rivoluzione più concreta. A raccontarci questo percorso il direttore della Caritas diocesana Davide Girotto.
Direttore, quando nasce l’idea di gestire la mensa per i poveri?
Quando i frati hanno comunicato che avrebbero lasciato il capoluogo e di con- seguenza non avrebbero più gestito la mensa. Da quel momento abbiamo subito parlato con il vescovo Pavanello della volontà di spendersi come Caritas e diocesi in un servizio importante verso la nostra società e per il nostro territorio.
Immaginiamo che i primi passi non siano stati semplici.
Decisamente. Dopo aver preso con entusiasmo l’idea, ci siamo messi subito a lavoro. Capire quelli che potevano essere i punti forti di questa soluzione ma anche quelli deboli. Siamo partiti da diverse domande che solo nel tempo hanno trovato una risposta: dove farla? Come farla e soprattutto come organizzarla? Basti pensare che la decisione del luogo è stata valutata in maniera molto attenta. Abbiamo capito che dovevamo spostarla dal posto adibito dai frati, e questo significava spendersi bene per capire il nostro territorio. Abbiamo investito tempo sulla formazione, e questa ci è venuta in aiuto per costruire il progetto. Così a dicembre abbiamo portato il nostro lavoro al vescovo chiedendogli di valutare come pastore quale migliore strada fosse percorribile.
Quando c’è stata la svolta?
Il vescovo una volta tornato da un pellegrinaggio in Terra Santa ci ha fatto sapere che aveva studiato perfettamente il nostro progetto. Probabilmente proprio quel viaggio lo aveva fatto meditare e riconoscere quella che sarebbe stata la scelta migliore. Con grande sorpresa e stupore ci ha proposto di costruire questa mensa all’interno del progetto e della struttura denominata “casa della diocesi”. Una casa che non si chiude ma si apre a tutti, soprattutto a partire dai più fragili. È da qui che parte l’idea di una Caritas più sbilanciata verso il territorio.
Ha parlato di formazione che è stata decisiva, in che termini?
Abbiamo svolto un master in collaborazione con l’università Cattolica di Milano. Da questo approfondimento abbiamo capito che stavano proponendo un modo di lavorare con i più fragili che faceva parte della nostra idea iniziale. Non una mensa dei poveri, ma una locanda per tutti. Un approccio che si basa sulle relazioni e non sui bisogni. Al centro non c’è più il bisogno della persona ma la persona stessa.
Perchè “locanda” e non “mensa”?
Mensa è un termine che si colloca ormai in un pensiero di povertà, noi vorremmo che quello che stiamo costruendo diventi un luogo per tutti, non ghettizzante ma aperto a chi vive la “casa della diocesi” e a tutto il territorio. Concretamente se si sta bene nel contesto che si vive è più facile creare delle relazioni e salvaguardare il luogo stesso. Ci piace specificare che sarà la “locanda della casa” e non “della Caritas”.
Qualcuno potrebbe nutrire dei dubbi su questo progetto, cittadini in primis. Che risposta dà Caritas?
Siamo consapevoli che alcune persone potrebbero creare dei disagi. Ma abbiamo anche considerato che non può esserci solo una soluzione di mantenimento della sicurezza pubblica. Questo modo di procedere rischia di esasperare la diversità. Il nostro obiettivo è quello di far sentire la locanda un luogo accogliente per tutti. Se ci riusciremo quella persona farà di tutto perchè quel luogo non venga deturpato.
Quando si partirà?
Dal 28 di agosto la mensa che prima era dei frati si trasferirà nello spazio del Seminario diocesano, sarà un primo luogo provvisorio in attesa dell’apertura della struttura che ospiterà ufficialmente la “Locanda della Casa”.