Celebrare la Pasqua non significa solo aprire una parentesi per evadere dalla vita quotidiana, ma è attingere dalla morte e risurrezione del Signore la forza di una vita nuova.
Anche quest’anno ci troviamo a vivere un momento buio e pesante a motivo della
pandemia: siamo tutti provati e sentiamo il logorio dei lunghi mesi trascorsi in un’altalena di speranze e di delusioni. Ci accorgiamo che questa vicenda non ci ha colpito solo nelle nostre relazioni sociali, ma più in profondità ci ha ferito nell’intimo, «rattrappendo», per così dire, la nostra stessa capacità di essere in relazione e di percorrere vie nuove per affrontare la sfida del tempo presente. Proprio nel momento in cui avremmo maggiormente bisogno di essere uniti e solidali e di immaginare un futuro migliore per il quale impegnarci insieme, siamo come paralizzati e ripiegati su noi stessi.
La nostra attenzione è stata rivolta soprattutto alle conseguenze fisiche e psicologiche della pandemia: ci sono però anche delle conseguenze spirituali, che non sono meno importanti. La dimensione spirituale, che non può essere semplicemente fatta coincidere con quella psicologica, infatti, è costitutiva della persona umana: essa attiene al nostro rapporto con la trascendenza e ci rimanda ad un Altro con cui, credenti e non credenti, siamo comunque in relazione. E’ proprio a partire da questa relazione che prende forma il nostro modo di vedere la realtà, la natura, la società, il tempo, lo spazio.
Le conseguenze spirituali della pandemia non comportano solo aspetti negativi, in quanto per loro natura possono diventare opportunità che possono far nascere anche dalla pandemia un rinnovamento profondo della convivenza umana. Nella situazione presente dell’umanità le risorse spirituali sono determinanti per «guarire il mondo».
La Pasqua ci raggiunge in questo contesto di prova, che rischia di diventare ripiegamento in se stessi e chiusura rispetto al futuro. Non è una novità: il mattino di Pasqua l’annuncio del risurrezione è arrivato ad un gruppo di uomini e donne dispersi e delusi. Tra loro alcuni avevano già abbandonato ogni speranza, come i due discepoli di Emmaus, altri, come la Maddalena, erano tutti concentrati dal dolore per la perdita del Maestro e la nostalgia per una presenza di cui pensavano di non poter più godere. La fede che nasce in loro accogliendo l’annuncio della resurrezione cambia la loro vita: tutto appare diverso alla luce della notizia che Gesù è Risorto e di fronte a loro si apre la prospettiva di una vita finalmente liberata dal peccato e dalla morte.
Anche oggi la fede in Gesù Risorto può cambiarci la vita: non perché ci toglie la prova e la sofferenza, ma perché ci dà occhi nuovi con cui affrontarle, occhi capaci di andare oltre il presente e di camminare insieme. Vivere la Pasqua ci può donare quelle risorse spirituali di cui abbiamo bisogno per «guarire il mondo»: in primo luogo ci dona la speranza, senza della quale rischiamo di sprofondare nella sfiducia e poi, soprattutto, l’agape (l’amore gratuito e disinteressato che viene da Dio) e che ha il potere di guarire le ferite più profonde.
Come Pietro e Giovanni videro nel sepolcro i teli e il sudario, impronte preziose della morte e risurrezione del Signore, anche noi il giorno di Pasqua potremo fissare lo sguardo sui tanti segni dell’amore posti in questo tempo di passione dell’umanità intera. Se il nostro vedere diventerà, come per i discepoli, un «credere» la nostra Pasqua sarà davvero sorgente di vita nuova.
+Pierantonio Pavanello – Vescovo di Adria-Rovigo