Per chi è la Giornata mondiale dei poveri? Per tutti, direi. Escluderei solo chi vuole vederla come un momento fine a se stesso, il giorno della buona azione annuale – c’è già il Natale, per sentirsi buoni una volta all’anno. Dobbiamo dire che questo andare avanti a “Giornate di Qualcosa” ha già in sé il limite di tutte le cose episodiche, è un rischio da calcolare. L’altro rischio insito nella Giornata è di non coglierne il vero spirito: non è aiutare i poveri, ma farsi aiutare dai poveri. Lo ribadisce anche quest’anno Francesco nel suo Messaggio: «i poveri sono e saranno sempre con noi per aiutarci ad accogliere la compagnia di Cristo nell’esistenza quotidiana» (n. 3). Ci sarebbe anche un altro limite, della Giornata…
Insomma, è una Giornata piena di limiti… Beh, è la Giornata dei poveri, ma possiamo dire che la giornata stessa è povera: è una battuta ma, come tutti gli strumenti che tentiamo di darci, è esposta inevitabilmente a limiti. Figuriamoci quest’anno, poi, in un momento di pandemia acuta come questo, nel quale anche gli appuntamenti più consolidati della vita parrocchiale sono congelati! Il terzo limite, come dicevo, è nel nome stesso: “Giornata dei Poveri” avvalla l’idea che esista una categoria definita di persone – mentre il Papa stesso, in apertura del Messaggio, ricorda come «la povertà assume sempre volti diversi, che richiedono attenzione ad ogni condizione particolare». Nel nostro immaginario la parola “poveri” accende ancora stereotipi ottocenteschi, faticosissimi da aggiornare. Se potessi dare un suggerimento al papa, la chiamerei “Giornata della fraternità” – sempre col limite delle “Giornate” ma almeno con l’idea di una relazione, al centro, non dei “destinatari” o dei “protagonisti”; un incontrarsi nelle proprie fragilità e marginalità, senza chi dà e chi riceve. Il tema della fraternità – lo conferma l’uscita della “Fratelli Tutti” – è tutto da riscoprire. “Tendi la tua mano al povero” – il Messaggio di quest’anno – mi piace prenderlo come un invito a darsi la mano, più che a elargire qualcosa.
In questo momento, anche darsi la mano fisicamente non è possibile… Già, ma questo è proprio uno dei volti nuovi che la povertà ha assunto, mi sembra. Condividiamo tutti la povertà di contatto fisico – una povertà inedita per gran parte di noi, e quanto può far soffrire! Condividiamo un grande restringimento di possibilità: per esprimersi, per muoversi nello spazio, per liberare le proprie energie, per incontrarsi; condividiamo precarietà emotiva e spirituale – quanti di noi non riescono più a sorridere! – ma anche economica, sanitaria.I nsomma, siamo messi in grado di sviluppare un senso di fraternità maggiore di prima – se ce lo permettiamo! – e questo, certo, a partire da chi è più in sofferenza: chi è solo negli ospedali, chi non ha una dimora fissa e non sa dove stare, i tanti lavoratori che non erano abituati a difficoltà così gravi per le loro famiglie, i bambini e i ragazzi deprivati di opportunità educative e formative…
Forse la Giornata di quest’anno è più un’occasione per allargare lo spazio del cuore, che per chissà quali iniziative… Certo. Sarebbe già una cosa grande cercarsi il Messaggio del Papa e leggerselo con calma. Non sottovalutiamo il legame delicatissimo che c’è tra quello che facciamo e quello che matura – o resta fermo e oscurato – nella nostra coscienza; tra quello che ci accade attorno e i sentimenti e pensieri a cui diamo ospitalità dentro di noi. Nel Messaggio, Francesco esalta la saggezza del libro del Siracide – dal quale il titolo è preso – specialmente nel mostrare il profondo legame tra la vita interiore e la nostra capacità di essere giusti con i fratelli: «Il costante riferimento a Dio non distoglie dal guardare all’uomo concreto, al contrario, le due cose sono strettamente connesse» (n.2). E più avanti: «Non ci si improvvisa strumenti di misericordia. È necessario un allenamento quotidiano, che parte dalla consapevolezza di quanto noi per primi abbiamo bisogno di una mano tesa verso di noi» (n. 7).
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