Abbiamo sentito poco fa nella prima lettura, una domanda angosciata che Mosé rivolge a Dio: «Perché hai fatto del male al tuo servo? Perché non ho trovato grazia ai tuoi occhi, al punto di impormi il peso di tutto questo popolo? L’ho forse concepito io tutto questo popolo? O l’ho forse messo al mondo io perché tu mi dica: “Portalo in grembo”, come la nutrice porta il lattante, fino al suolo che tu hai promesso con giuramento ai suoi padri? Non posso io da solo portare il peso di tutto questo popolo; è troppo pesante per me». Vorrei partire proprio da questa supplica di Mosè per introdurci al rito dell’ordinazione, a cui fra poco parteciperemo. Mosè non si limita a lamentarsi con Dio per la pesantezza del compito che gli ha affidato, gli chiede di farsi presente e di mostrare che è Lui, il Signore, a guidare il popolo nel cammino del deserto. La risposta di Dio è nell’invito a radunare settanta anziani e nel donare loro lo Spirito di Dio, lo stesso Spirito che aveva ricevuto Mosè. I settata anziani, dice il testo biblico, cominciarono a «profetizzare»: non si tratta tanto di comunicare il messaggio di Dio in forma di parola, ma di testimoniare con il comportamento concreto che Dio guida il suo popolo e che sta in mezzo agli israeliti con la sua forza e il suo Spirito. Anche nel Vangelo vediamo qualcosa di analogo. Gesù trasmette i suoi poteri (guarire i malati, scacciare i demoni…) ai dodici apostoli: è come se si attuasse un passaggio da Gesù a loro, perché possano esercitare nel mondo quel «ministero della riconciliazione» che continua la missione terrena di Gesù aprendo agli uomini la possibilità di una vita nuova non più segnata dalla divisione e dal peccato.
Anche oggi, nel tempo della Chiesa, Dio continua a «portare in grembo» (per usare la bella espressione del libro dei Numeri) il suo popolo. Lo fa partecipando alla Chiesa tramite l’effusione dello Spirito il sacerdozio di Cristo, quel sacerdozio che è consistito nel rivelare il Padre, riconciliare il mondo peccatore con Dio e donare lo Spirito Santo per la santificazione dell’umanità. Questa mediazione sacerdotale si attua attraverso due modalità distinte ma allo stesso tempo ordinate l’una all’altra: il sacerdozio comune dei fedeli, fondato sul battesimo, che esprime la partecipazione di tutti i fedeli alla dimensione filiale di Cristo, e il sacerdozio ministeriale (per intenderci il ministero del vescovo e dei presbiteri), che invece rende presente il Cristo come rappresentante del Padre.
Mi sembra molto bello questo modo di impostare il rapporto tra il sacerdozio comune e quello ministeriale, che prendo da un libro del card. Ouellet, Prefetto della Congregazione dei Vescovi: esso infatti rende possibile intendere la reciprocità tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale, salvando allo stesso tempo la «differenza» non solo di grado ma anche di essenza (Lumen Gentium 10). Dire che sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale sono ordinati l’uno all’altro in un rapporto di reciprocità, vuol dire che né i ministri né i fedeli sono mai gli uni senza gli altri, ma devono sempre pensarsi insieme, gli uni con gli altri. In questo senso è molto feconda la specificazione del ministero sacerdotale in termini di paternità (meglio di paternità/maternità): spesso nel passato il sacerdozio ministeriale è stato inteso e presentato come un «potere», vederlo invece come rappresentazione della paternità di Dio, ci richiama ad una relazione intrisa di tenerezza e di misericordia.
Proprio in questo essere ordinati l’uno all’altro scaturisce la fecondità apostolica della Chiesa: come dalla comunione di amore del Padre e del Figlio procede lo Spirito Santo, così dall’incontro e dalla convergenza del sacerdozio comune di tutti i fedeli e del sacerdozio ministeriale dei vescovi e presbiteri nasce una nuova effusione dello Spirito, che rinnova la Chiesa e la rende capace di generare nuovi cristiani e, aggiungo, anche nuove vocazioni al ministero sacro.
Attuare nella vita delle nostre comunità questa relazione reciproca tra fedeli, da un lato, vescovo e presbiteri e dall’altro, è la chiave per rinnovare la nostra Chiesa e per renderla feconda, capace cioè di generare una vita nuova, una vita secondo il Vangelo.
Vorrei che nel rito di ordinazione, a cui stiamo per partecipare, potessimo tutti fedeli e ministri sperimentare la forza e la fecondità di questo incontro tra il sacerdozio comune, appartenente al popolo di Dio, e il sacerdozio ministeriale proprio del vescovo e dei presbiteri. E’ proprio dal dono dello Spirito, frutto di questa comunione di fede e di amore, che nascerà questo pomeriggio un nuovo presbitero per il servizio della nostra Chiesa.
In questo mistero d’amore questo pomeriggio, attraverso l’imposizione delle mani, entrerà infatti anche don Alessandro: configurato a Cristo, Capo e Sacerdote, egli sarà chiamato a rappresentare davanti ai fratelli il Cristo inviato del Padre.
Caro Alessandro, Ti auguro di vivere nel ministero che ti attende la bellezza di questa «cospirazione» d’amore con il popolo santo di Dio che ti viene affidato. Già questo pomeriggio potrai gustarne le primizie: tra poco mentre tu sarai prostrato a terra, invocheremo su di te lo Spirito del Signore. In quel momento tu sentirai che tutto il popolo santo di Dio ti sostiene con la sua preghiera perché tu possa essere segno dell’Amore del Padre per tutti i fratelli e potrai assaporare la gioia di dedicare a loro la tua vita. Potrai comprendere così che il tuo servizio alla Chiesa sarà fecondo non solo perché presterai dei servizi, ma soprattutto perché potrai entrare con le persone e le comunità in una relazione di paternità spirituale, che ti farà sperimentare una fecondità che non è semplicemente umana perché partecipa della paternità di Dio. Il prete infatti è prima di tutto un padre nella fede ed essere padri nella fede vuol dire aprire ai fratelli l’accesso alla vita di Dio, far conoscere loro la dignità di essere figli del Padre e fratelli di Gesù Cristo.
Tu ricevi l’ordinazione presbiterale in un momento particolarmente difficile sia per la vita della Chiesa che della società civile: proprio per questo tu sei oggi un segno di speranza per tutta la nostra Chiesa: attraverso la tua risposta generosa Dio ci mostra che non ci abbandona e continua a «portarci in grembo», perché vuole attraverso di noi, popolo sacerdotale, generare nuovi figli e figlie di Dio.
Lo Spirito del Signore, che scende su di te e ti consacra per la missione, ti dia la forza di essere sempre fedele agli impegni che oggi ti assumi. Vegli sempre su di te come madre amorosa la Vergine Maria!