Abbiamo ripreso domenica scorsa, dopo tre mesi, a celebrare con il popolo l’eucaristia nel giorno del Signore. Questa sera, alla fine ormai del tempo pasquale, ci ritroviamo per la Messa crismale, che prima d’ora abbiamo sempre celebrato nella settimana santa in prossimità della Pasqua. Anche questo è uno dei tanti eventi inediti a cui siamo stati condotti dall’epidemia per coronavirus. E’ bello comunque poter vivere insieme questo momento di grazia, riscoprendo la ricchezza di fede e di impegno nella carità che arricchisce la nostra chiesa diocesana.
Nell’antivigilia di Pentecoste risuonano con particolare forza le parole della prima lettura e del Vangelo: «Lo Spirito del Signore è sopra di me, mi ha consacrato con l’unzione, mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio …». Vorremmo poter vivere anche noi questa sera la stessa esperienza spirituale che fu del profeta Isaia e pure di Gesù nella sinagoga di Nazareth, l’esperienza cioè di sentirci sospinti dal soffio dello Spirito e mandati per portare un lieto annuncio.
Siamo stati chiusi nelle nostre case per tre mesi a causa del pericolo del contagio, limitando i nostri scambi e le nostre relazioni. L’epidemia ha sconvolto anche le nostre pratiche religiose: chi avrebbe mai immaginato che per tre mesi in tutto il mondo non sarebbe stato possibile partecipare alla santa Messa e che perfino il giorno di Pasqua non avremmo potuto cantare l’alleluia nelle nostre chiese? Eppure il Signore attraverso questa prova ci ha educato: siamo stati costretti a relativizzare le nostre abitudini e ad andare a cercare che cosa è veramente essenziale per la nostra vita di cristiani. L’impossibilità di celebrare i sacramenti, ci ha spinto a cercare il Signore nella sua Parola, che non ci può essere mai tolta. Come comunità cristiana ci ritroviamo più poveri: poveri di mezzi economici ma anche di persone, e ci riscopriamo privi di un ruolo e di una influenza sociale significativa. Questa condizione nuova ci costringe a ripensarci e a rompere consuetudini che ci bloccavano e ci impedivano qualsiasi cambiamento.
Proprio per tutto questo ora è venuto il momento di uscire e di andare incontro ai nostri fratelli e sorelle Sappiamo che incontreremo persone angosciate per l’incertezza del futuro, forse anche piene di rabbia per aver perso le proprie certezze, impaurite per essersi scoperte fragili e indifese di fronte ad un pericolo invisibile ma non per questo meno insidioso. Come Gesù Risorto con i discepoli di Emmaus noi siamo chiamati a camminare con questi fratelli angosciati, arrabbiati, impauriti. La prima nostra attenzione dovrà essere quella di condividere le loro domande e le loro delusioni: solo così potremo poi spiegare loro come la Parola del Signore offre una risposta e una speranza. Seguendo l’esempio di Gesù sulla via di Emmaus potremo ritrovare quella dimensione missionaria che da tanto tempo abbiamo trascurato, lasciandola ai paesi cosiddetti di missione e dimenticandoci che annunciare il Vangelo è compito di tutti i cristiani in ogni tempo e in ogni luogo.
Annunciare il Vangelo non è un dovere, un obbligo: per i cristiani è un movimento del cuore che nasce dalla gioia di conoscere il Signore, di sentirsi amati da lui e di desiderare che anche altri possano vivere la stessa esperienza. Il Vangelo è una ricchezza da condividere: lo è soprattutto in questo tempo in cui molti cercano di dare un senso a quanto stiamo vivendo e sentono l’esigenza di parole vere, capaci di aprire alla speranza e di sostenere un cammino nuovo.
Annunciare il Vangelo non è opera di singoli, ma, come sempre è stato nella storia della Chiesa, è compito di una comunità. Per questo dobbiamo concentrare i nostri sforzi nel dare alla nostra chiesa diocesana una forma missionaria. Questo comporta una conversione, ovvero, con l’immagine che ho usato nella Lettera pastorale per questo anno 2019-2020, una nuova nascita. La nostra impostazione, sia a livello diocesano che delle comunità parrocchiali, infatti, è pensata per conservare e coltivare una vita cristiana già acquisita: per questo ci troviamo in difficoltà a proporci a chi non crede ed è lontano dall’esperienza ecclesiale. Ci risulta difficile intercettare le domande di chi è in ricerca, anche quando si avvicina e ci chiede di essere accompagnato e aiutato a scoprire il Signore e il suo Vangelo. Pensiamo ad esempio che cosa siamo in grado di offrire ad un adulto che chiede il battesimo, o anche solo la cresima, perché non ha ancora completato l’iniziazione cristiana.
L’esperienza di questi mesi può costituire un vero e proprio punto di rottura, che ci apre come chiesa ad un cammino nuovo, più vero e autentico, dove si è cristiani per convinzione e non per abitudine.
A questo punto permettetemi di rivolgermi in modo particolare ai presbiteri: carissimi la pandemia con le restrizioni che ne sono seguite ci ha messo alla prova e ci ha costretto a mettere in discussione tante certezze e abitudini. Rinnovando questa sera le promesse fatte il giorno della nostra ordinazione diciamo al Signore la nostra disponibilità a seguirlo ancora sulle strade inedite e impreviste che ci mette davanti. Nonostante la fatica (e forse anche lo smarrimento che proviamo) impegniamoci a metterci ancora in gioco per collaborare a questa «nuova nascita» a cui la nostra chiesa è chiamata.
Ci uniamo questa sera alla lode a al ringraziamento dei presbiteri che ricordano alcuni giubilei sacerdotali: don Mario Chieregato e don Arnaldo Pizzo il 60° di ordinazione, don Daniele Bragante e fra’ Giovanni Cropelli o.f.m. capp. Il 25°. Assieme a loro ricordiamo anche mons. Antonio Donà, che quest’anno avrebbe festeggiato il 50° di sacerdozio, ma che il Signore ha chiamato a sé all’inizio di questo mese di maggio.
Al Signore Gesù, che ha fatto di noi un regno e ci ha costituiti sacerdoti per il suo Dio e Padre, gloria e potenza nei secoli!