Accanto ad un saluto ai relatori e ai presenti (partecipano anche alcuni laici che da qualche mese ho invitato a far parte di un gruppo di lavoro diocesano su questa tematica, i referenti del consultorio diocesano e di altre attività educative della diocesi) vorrei spiegare la motivazione e lo stile di questo incontro.
La scandalo degli abusi sessuali che ha investito la chiesa negli ultimi anni chiede anche da parte nostra una reazione che non si limiti al dispiacere e al fastidio, ma che porti ad una presa in carico dei problemi che sono evidenziati da questo scandalo. Scrive papa Francesco nella “Lettera al popolo di Dio” del 20 agosto 2018: «La dimensione e la grandezza degli avvenimenti esige di farsi carico di questo fatto in maniera globale e comunitaria. Benché sia importante e necessario in ogni cammino di conversione prendere conoscenza dell’accaduto, questo da sé non basta. Oggi siamo interpellati come Popolo di Dio a farci carico del dolore dei nostri fratelli feriti nella carne e nello spirito. Se in passato l’omissione ha potuto diventare una forma di risposta, oggi vogliamo che la solidarietà, intesa nel suo significato più profondo ed esigente, diventi il nostro modo di fare la storia presente e futura, in un ambito dove i conflitti, le tensioni e specialmente le vittime di ogni tipo di abuso possano trovare una mano tesa che le protegga e le riscatti dal loro dolore (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 228). Tale solidarietà ci chiede, a sua volta, di denunciare tutto ciò che possa mettere in pericolo l’integrità di qualsiasi persona. Solidarietà che reclama la lotta contro ogni tipo di corruzione, specialmente quella spirituale, “perché si tratta di una cecità comoda e autosufficiente dove alla fine tutto sembra lecito: l’inganno, la calunnia, l’egoismo e tante sottili forme di autoreferenzialità, poiché “anche Satana si maschera da angelo della luce” (2 Cor 11,14)» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 165)».
Quanto è accaduto in varie parti del mondo, ci spinge a diventare sensibili ad una problematica che non riguarda solo la chiesa, ma la società intera, come ha messo in evidenza Papa Francesco nel discorso conclusivo dell’incontro di febbraio con i presidenti delle conferenze episcopali. Questo non diminuisce la gravità degli abusi compiuti da uomini di chiesa, ma ci fa capire che come comunità cristiana abbiamo un compito e un servizio verso l’umanità. Riprendo un passo di un discorso di papa Francesco: «Proprio per le drammatiche esperienze fatte e per le competenze acquisite nell’impegno di conversione e di purificazione, la Chiesa sente oggi un dovere particolarmente grave di impegnarsi in un modo sempre più profondo e lungimirante e la loro dignità non solo al suo interno ma in tutta la società e in tutto il mondo; e ciò non da sola – poiché evidentemente insufficiente – ma dando la sua collaborazione fattiva e cordiale a tutte le forze e le componenti della società che si vogliono impegnare nella stessa direzione» (Francesco, Discorso ai partecipanti al Convegno “Child dignity in the Digital World” 6 ottobre 2017).
Mi sembra che il primo modo per farsi carico di questa problematica è non dare per scontata la protezione dei minori e delle persone vulnerabili nei nostri ambienti. Non possiamo più ignorare che le molestie, gli abusi in tutte le varie forme possibili, sono un’eventualità possibile e pertanto si deve cercare di prevenirli ponendo in atto una serie di attenzioni e soprattutto dando una formazione specifica a tutte le persone che operano nella comunità ecclesiale a contatto con i minori (non solo i preti, ma anche i catechisti, gli animatori, ecc.)., aiutandole a individuare i comportamenti a rischio propri e degli altri in modo da intervenire tempestivamente. Un secondo aspetto della presa in carico è la disponibilità ad ascoltare le vittime superando la tentazione di “coprire” gli autori di abusi (questa è l’altra faccia dello scandalo!).
Come chiesa diocesana, seguendo le indicazioni che ci vengono dalla CEI, abbiamo cominciato da qualche mese ad attrezzarci, costituendo un gruppo di lavoro formato da alcuni esperti (psicologi, medici, avvocati, pedagogisti) che aiuti il vescovo e i suoi collaboratori a promuovere iniziative di sensibilizzazione e formazione e, se ne dovesse essere la necessità, a gestire eventuali situazioni di crisi. Ringrazio quanti hanno accettato l’invito a partecipare a questo gruppo di lavoro. Nel corso dell’incontro avremo occasione di tornare su questo argomento.
Trovandoci oggi in un incontro rivolto principalmente al clero, sento doveroso sottolineare un aspetto della problematica che tocca particolarmente la nostra vita di presbiteri. Papa Francesco ha sottolineato il legame tra gli abusi da parte di chierici e il clericalismo. La cosa può sorprendere, in realtà ad un esame più approfondito possiamo cogliere la fondatezza di questo legame. E’ dimostrato che gli abusi si verificano all’interno di un rapporto asimmetrico, di subordinazione, tra abusante e abusato. All’interno del rapporto educativo e pastorale è evidente, direi costitutiva, questa asimmetria. Nel rapporto tra presbitero e minore (ma anche con l’adulto) vi è un ulteriore motivo di subordinazione: il presbitero, in forza del suo ministero, rappresenta un’autorità che viene dall’alto («ministro di Dio»). Nel rapporto pastorale poi la persona apre al presbitero la sua intimità. Ciò crea una situazione di «rischio» potenziale, se manca da parte del presbitero equilibrio e consapevolezza dei limiti da rispettare. Ciò può venire compromesso dall’atteggiamento del clericalismo: è lo stile di chi pensa che l’essere segnati dall’Ordine sacro ponga non ai piedi del prossimo (come Gesù nel cenacolo), bensì su di un «piedistallo» di potere. Il clericalismo è una patologia del ministero: espone i preti alla prevaricazione del potere, contraddicendo la cura amorevole e rispettosa tipica del pastore secondo il vangelo di Gesù. E’ una patologia che risponde a dei bisogni che tutti abbiamo e può diventare, in particolari momenti della vita, una forma di compensazione per situazioni non bene integrate specie dal punto di vista affettivo e sessuale. Il clericalismo pertanto crea il terreno in cui possono maturare comportamenti anomali fino ad arrivare ad abusi veri e propri. E’ evidente l’importanza di prevenire tale patologia attraverso un’adeguata formazione: non solo iniziale ma anche permanente. Sottolineo il ruolo della formazione permanente che deve accompagnarci nelle varie stagioni della vita e del ministero.
L’incontro di oggi vuol essere una prima introduzione: lo scopo è quello di offrire un quadro a partire (relazione di don Oriente) dal compito educativo della chiesa nel quale collochiamo anche la specifica attenzione per la tutela dei minori (e delle persone vulnerabili). Una seconda parte (relazione prof. Comotti) sarà dedicata a tracciare i confini dei comportamenti non accettabili sia nell’ottica del diritto canonico che di quello civile, mostrando anche la rilevanza di alcuni atteggiamenti che di per sé non costituiscono reato, ma possono costituire un rischio sia per accuse non fondate, ma anche prodromi di comportamenti più gravi.