La morte è il momento in cui la nostra vita appare nella sua verità: credo che davanti alla sua bara, anche la figura di don Francesco appaia a noi questa mattina in una luce nuova, come trasfigurata. A lui possiamo applicare le parole del profeta Daniele ascoltate nella prima lettura «I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che hanno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre».
Don Francesco è stato un prete semplice e buono, che ha vissuto la vera sapienza del Vangelo, proclamata nelle beatitudini: in particolare lui ha vissuto la beatitudine rivolta ai poveri, che ha servito prima per lunghi anni nei pazienti dell’Ospedale psichiatrico provinciale di Granzette e poi negli anziani del Centro Servizi di Adria.
Nato nel 1938 a Cavarzere fu ordinato a Rovigo il 24 giugno 1962. Fu vicario cooperatore a San Biagio di Lendinara e a Fiesso Umbertiano, Parroco a Canalnovo per sei anni. Dal 1973 al 1997 fu cappellano dell’Ospedale psichiatrico di Granzette. Contemporaneamente a questo incarico dal 1980 collaborò con il settimanale diocesano in qualità di vicedirettore. Dal 1997 al 2000 fu parroco di Barbuglio. Nel 2000 si trasferì ad Adria, dove venne nominato canonico del Capitolo della Cattedrale e cappellano della Casa di riposo. La vita sacerdotale di don Francesco era aperta anche ad altre sensibilità: fu consulente ecclesiastico diocesano della San Vincenzo; si impegnò a sostenere l’Opera San Pietro Apostolo per i seminaristi dei paesi di missione, ebbe a cuore l’arte, come attesta la porta bronzea che fece realizzare per l’amata chiesa di S. Andrea qui in Adria.
Negli incontri che ho avuto con lui, ho colto però che il ministero che più ha segnato la sua vita è stato quello svolto presso l’ospedale psichiatrico. Ne parlava con grande partecipazione e quando, lo scorso autunno, gli chiesi di partecipare alla cerimonia di apertura al pubblico del parco dell’ex ospedale psichiatrico, accolse con gioia la proposta. Mi colpisce la fedeltà di don Francesco che per oltre vent’anni si spese per i malati psichici e il personale che li seguiva. Mi vien da pensare che proprio alla loro scuola abbia appreso la semplicità e la bontà che si coglievano nel suo tratto gentile e rispettoso. Semplicità e bontà che erano accompagnate sempre da una sottile ironia, mai offensiva. Mi diceva in questi giorni una persona che ebbe modo di conoscerlo che anche quando raccontava le barzellette sui “matti” sapeva suscitare simpatia e benevolenza verso questi fratelli meno fortunati.
Don Francesco ci insegna a servire i poveri: la malattia psichica è una forma di povertà molto seria. Qualche decennio fa, poi, la malattia mentale era accompagnata da uno stigma sociale che escludeva dalla comunità e confinava in un mondo a parte (i manicomi). In quel mondo “altro” rispetto alla normalità, si poteva trovare una grande ricchezza di umanità. Proprio lì don Francesco ha seminato amore, attenzione, consolazione: una semina che ha proseguito negli anni successivi tra gli anziani della Casa di Riposo di Adria.. Per questo noi confidiamo che anche lui sia passato dalla morte alla vita: come dice San Giovanni «noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli».
Caro don Francesco riposa in pace e continua a pregare per la nostra chiesa, in particolare per il Vescovo e per i tuoi confratelli preti, perché sappiamo con semplicità e bontà a stare accanto ai fratelli più poveri e dimenticati.