«Che cosa posso fare per impegnarmi di più nella Chiesa?». Il nostro amico Alfredo nell’intervista rilasciata al settimanale diocesano far risalire a questa domanda l’inizio del cammino che lo ha portato qui questa sera a ricevere l’ordinazione diaconale: sapeva che c’erano persone che si legavano alla chiesa e si consacravano e si domandava se anche per lui non poteva esserci una possibilità di questo tipo. Il sacramento dell’Ordine, che tra poco riceverà, darà una risposta a questa domanda creando un legame nuovo con Cristo e con la Chiesa: sarà una nuova «consacrazione» dopo quella ricevuta il girono del battesimo, cioè una nuova configurazione a Cristo. Il diaconato, infatti, darà alla vita di Alfredo la forma di Cristo servo.
E’ significativo che questo rito di ordinazione abbia luogo nella solennità di Cristo Re: come abbiamo sentito nel Vangelo Gesù dice «il mio regno non è di questo mondo» e ciò significa che Gesù non è un re che domina con la forza e il potere. Il regno di Gesù da un punto di vista umano è sconcertante: non ha bisogno di guardie che combattono per il suo re, ma solo di due braccia che sanno distendersi sulla croce, in un abbraccio che mostra la verità di un amore che accoglie tutti. Veramente per Gesù «regnare è servire» e ciò vale per tutta la Chiesa: partecipare alla regalità di Cristo vuol dire vivere il servizio, farsi servi. «Proprio perché tutta la chiesa possa vivere questa spiritualità di servizio, il Signore le dona [con il diaconato] un segno vivente e personale del suo essere servo» (Congregazione per l’Educazione Cattolica – Congregazione per il Clero, Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti, n. 11). Ci sono tanti cristiani che svolgono dei servizi nella Chiesa: la particolarità del diacono è che non si tratta di un impegno temporaneo, legato ad una decisione che può essere revocata, ma è una scelta per la vita, un mettersi a disposizione senza limite di tempo, accettando di lasciare che la propria vita sia segnata in profondità della grazia del sacramento.
Il servizio del diacono si estende alla triplice diaconia della parola, della liturgia e della carità: di conseguenza ha la facoltà di predicare, di svolgere alcuni compiti all’interno della celebrazione eucaristica, conferire il battesimo e assistere alle nozze, presiedere le esequie e impartire la benedizione e gli altri sacramentali. Ciò che conta però non è ciò che il diacono può fare, ma la dimensione sacramentale: essere segno vivente di Cristo servo, promuovendo negli altri fedeli la disponibilità al servizio.
Per molti secoli la chiesa ha avuto esperienza solo del ministero dei presbiteri e dei vescovi, segno di Cristo sacerdote e capo. Il ripristino del diaconato permanente ad opera del Concilio Vaticano II (nella nostra diocesi nove anni fa) arricchisce e completa la presenza sacramentale di Cristo: Cristo infatti è Capo, Sacerdote ma anche Servo. Il diaconato di conseguenza ci porta a ripensare il ministero nella Chiesa abbandonando gli schemi del potere e della separazione. Per sua natura il diacono è innanzitutto un ministro che deve essere servo, in secondo luogo vive nel mondo, ha una professione, può – come nel caso di Alfredo – essere sposato, avere una famiglia e dei figli. Se compreso e vissuto nel suo vero significato il diaconato provoca un cambiamento nel nostro modo di intendere la stessa comunità cristiana. Non più una comunità dipendente solo dalla figura del prete, unico protagonista della vita ecclesiale, ma una comunità dove esiste una pluralità di ministeri che promuovono la partecipazione e la corresponsabilità di tutti i fedeli non solo per la vita interna della comunità ma anche e soprattutto per una testimonianza evangelica nel mondo. L’ordinazione di un nuovo diacono permanente mi sembra assai significativa in un tempo in cui come comunità diocesana stiamo cercando di ripensare il volto delle nostre comunità e la loro presenza nel territorio.
Vorrei dedicare un particolare ringraziamento anche alla moglie e alla figlia di Alfredo. Anche loro hanno partecipato al suo cammino e condiviso la sua vocazione. Se è vero che solo il marito diventa diacono, proprio per la forza dei legami familiari, in particolare il legame sponsale (che ha natura sacramentale), la moglie, in primo luogo ma anche i figli non possono rimanere esclusi dal ministero del marito e del padre. In qualche modo potremmo dire che tutta la famiglia diventa «diaconale». Credo non vi sfugga la bellezza e la ricchezza di una comunità cristiana che si alimenta dell’esperienza di queste famiglie: una comunità più vicina alla vita della gente e ai problemi della vita quotidiana.
Ringraziamo il Signore di questo dono che questa sera riceviamo e chiediamo al Signore di diventare sempre più una chiesa «tutta ministeriale», in cui saremo tutti partecipi della regalità di Cristo Signore proprio perché tutti ci sforziamo di essere come Lui servi per amore.